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venerdì 16 maggio 2025

Quel silenzio sul parabrezza. Riflessioni su prati stabili, insetti e una terra che si svuota

Mi diceva Pierpaolo, biologo e amico, il nostro prezioso consulente per l’equilibrio del laghetto in giardino, che in questi mesi sta lavorando a un progetto importante: il censimento dei prati stabili.

Lo fa con la passione e la competenza che lo contraddistinguono, e con una punta di urgenza. Perché quei prati — che molti guardano senza vedere — sono scrigni di biodiversità, e stanno scomparendo.

I prati stabili sono formazioni erbacee che non vengono arate né seminati da decenni, spesso da secoli. Si sono formati naturalmente, mantenuti da pratiche agricole tradizionali come lo sfalcio periodico o il pascolo leggero. Proprio perché “stabili”, cioè non disturbati da interventi intensivi, ospitano una varietà impressionante di specie: fiori, erbe spontanee, piccoli mammiferi, uccelli, ma soprattutto… insetti. E qui viene il punto.

Parlando con Pierpaolo, gli ho chiesto di raccontarmi qualcosa del suo lavoro. Mi ha risposto con una domanda, apparentemente banale: «Ti ricordi quando, tornando a casa in macchina, il parabrezza era sempre coperto di insetti schiacciati?»

Ci ho pensato un attimo. Poi ho fatto mente locale. Sì. Ricordo benissimo quella sensazione: il bisogno di pulire il vetro, la visibilità ridotta nei lunghi viaggi estivi, gli sciami che si infrangevano nella luce dei fari. Ma oggi? Oggi non succede più.

Proprio ieri, tornando a casa in auto, mi è venuto naturale guardare il parabrezza. Era perfettamente pulito. Nemmeno un moscerino. Nessuna vita appiccicata al vetro. Solo il riflesso del tramonto.

Mi è salita una tristezza profonda. Un vuoto difficile da spiegare. Perché la verità è che non si tratta solo di un dettaglio marginale, di una stranezza moderna, di un effetto collaterale della velocità. Si tratta di un segnale d’allarme ambientale.

Gli scienziati lo chiamano insect decline, il declino degli insetti. In alcune aree d’Europa si parla di una perdita fino al 75% della biomassa degli insetti volanti in appena trent’anni. Non c’è più il ronzio di una volta. Non c’è più quel fermento invisibile, brulicante, continuo. Non lo vediamo, ma ci manca.

E gli insetti non sono affatto creature marginali o fastidiose. Sono impollinatori, decompositori, regolatori naturali**. Senza di loro, **non esisterebbero i fiori, i frutti, gli uccelli, la vita nei suoi equilibri più intricati. Il suolo si impoverirebbe, le piante smetterebbero di riprodursi, intere catene alimentari si spezzerebbero.

E invece stiamo perdendo tutto questo. Silenziosamente. Progressivamente. Senza nemmeno accorgercene, ci stiamo abituando all’assenza.

E allora ho capito meglio l’urgenza del lavoro di Pierpaolo. Quei prati stabili, che resistono ai pesticidi, ai diserbanti, alle arature invasive e alla cementificazione, sono isole di resistenza biologica. Sono gli ultimi rifugi per api selvatiche, farfalle, coleotteri, grilli, cavallette, lucciole. Sono mondi in miniatura, che tengono insieme il nostro mondo più grande. Salvare un prato non significa solo difendere un paesaggio o proteggere una specie rara. Significa preservare la vita nella sua forma più minuta ma fondamentale.

Mi ha fatto riflettere, questa conversazione. E anche un po’ tremare. Perché se davvero la terra sta morendo — e in parte già sta accadendo — non lo farà con rumore, ma nel silenzio. Un silenzio che comincia dal parabrezza pulito di un’auto che torna a casa.

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