lunedì 3 febbraio 2020

Il mio Kaiserfleisch preferito


Se c’è una cosa che tutti gli amici sanno di me è che amo cucinare. Oddio è anche vero che quando ci ritroviamo, per le cene in giardino nelle sere d’estate, ciascuno porta qualcosa. Ma è anche evidente che quando il numero supera la ventina la scelta è necessariamente obbligata.
D’ inverno la situazione è un po’ diversa. A tavola, in soggiorno, non si sta in più di dieci anche se devo ammettere che il numero ideale di commensali e’ il sei. Se si è in più, inevitabilmente, si formano i gruppetti e la conversazione non viene condivisa. 
Comunque, è d’inverno che sperimento le nuove ricette ed ho deciso di appuntarle in questo blog. Così come una volta si faceva con il foglietto del quaderno inserito dentro il ricettario. Nel mio caso la cucina triestina che mia madre mi regalò il giorno in cui mi sono sposata.
Le ultime ricette che ho provato, e con una certa soddisfazione finale, sono a base di carne. E’ anche vero che ne mangio sempre meno; anzi, a dire il vero, ne mangio non più di una volta alla settimana. E do per certo che, prima o poi, smetterò del tutto. Così come ho fatto, ad esempio con il polpo. Dal giorno in cui ho letto che è un animale intelligentissimo non riesco nemmeno più a prendere in mano una confezione al supermercato. Anzi, giro la testa dalla’altra parte se sono costretta a passare davanti al frigorifero dove sono posti in vendita. E dire che fino ad un paio di anni fa ne andavo ghiotta e sperimentavo le diverse ricette. Anche se la più gustosa e quindi apprezzata, rimaneva sempre quella con le patate lesse e le olive nere.

Kaiserfleisch e crauti
Da quando ho scoperto che, tra i miei amici, ce n’è uno che ama destreggiarsi in cucina mettendo in vaso cipolle, peperoni e cappuccio e che, vivendo solo, ama condividere le sue preparazioni, ho iniziato ad apprezzare in maniera particolare crauti e brovada, preparati in casa. Ovvero due tipici prodotti nel territorio in cui vivo, terra di confine e quindi di contaminazioni culturali e culinarie.
Tanto per puntualizzare, se i crauti, tipico prodotto tedesco, sono diffusi un po’ in tutta Italia e pertanto non è necessario spiegare di che si tratta, diversa è la questione della brovada che, credo, sia l’unico alimento che ha delimitato il consumo alla sua zona di produzione. E non è un caso, quindi, se amici e parenti emigrati in giro per l’Italia, non esitano a farne scorta in occasione dei loro “ritorno a casa”, perché in nessuna gastronomia, seppur fornitissima, sarà possibile trovare il prodotto friulano che, forte del suo disciplinareapprovato dal Ministero delle politiche agricole, è tra i prodotti di nicchia della cucina regionale del Friuli Venezia Giulia.
Crauti e brovada, insomma, sono il contorno preferito di un buon Kaiserfleisch che, sotto forma di stinco o di lonza, è il piatto forte delle giornate invernali. Quando, in pratica, umido o freddo, richiedono qualche caloria in più.
Come cucinare crauti o brovada è fatto estremamente soggettivo. E mi riprometto, se qualcuno me lo chiederà, di approfondire la questione in un prossimo post. Oggi vorrei soffermarmi sulle modalità di cottura dello stinco e della lonza che noi, gente di confine, abbiamo la possibilità di acquistare a prezzi quasi tracciati nei supermercati sloveni, Hofer in primis. La lonza, che fino allo scorso anno cuocevo alla piastra, dopo averne affettata quanta me ne serviva, da quest’anno la metto in padella assieme ai crauti e la lascio quindi a bollire da due a tre ore. In questo modo crauti e carne  contaminano i loro sapori in maniera eccellente. Poi quando il tutto si è raffreddato tolgo la carne ed anche in  questo caso ne affetto dei pezzi secondo necessità e la metto a riscaldare, nuovamente, nei crauti od anche nel forno a micro_onde per due minuti.  Provare per credere.
Per lo stinco affumicato, invece, utilizzo i consigli di un amico che ama, come me, la cucina mitteleuropea e che è sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Quando mi ha insegnato questa modalità di cottura mi ha spiegato che si tratta in realtà di una vecchia ricetta triestina. Non so quindi quale possa essere la sua origine, ma è assolutamente geniale oltre che semplicissima. Il segreto è di ricoprire totalmente con la birra lo stinco messo in una casseruola sufficientemente alta da contenerlo tutto. Senza null’altro. A fiamma bassissima, si lascia evaporare tutta la birra (ci vogliono diverse ore) ed il giorno successivo si ripete l’operazione, ricoprendo nuovamente lo stinco di birra. Quando tutto il liquido si sarà consumato lo stinco è pronto, anzi prontissimo da gustare. Carne tenerissima e senza un filo di grasso. Ho provato questo tipo di cottura sia con lo stinco affumicato che con quello fresco e l’esito è lo stesso. Anche se con quello fresco si consiglia l’aggiunta di sale e pepe.
Buon appetito!

2 commenti:

  1. accidenti!!!!! ho la bocca piena di gusto e di sapore delizioso. e poi anche i commensali sono……….. deliziosi.
    grazie Marilisa!

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  2. Bello il tuo blog, faccio un commento allo stinco alla birra: pensa tu che uno dei piatti tipici del Belgio è il pollo...alla birra, che sta circa un'ora a cuocere. A pezzi naturalmente. Il procedimento è lo stesso.Ciao e buon lavoro

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