Ogni primavera c'è quel momento speciale, quello che dà un senso ai mesi freddi appena passati. È il momento in cui il mio giardino sembra esplodere di vita: il glicine si arrampica sul gazebo come un fiume viola intenso, gli iris si spalancano eleganti verso il cielo e le rose competono tra loro in una gara di bellezza e colori. È il segnale che il peggio è passato, che finalmente la natura ha ritrovato il suo ritmo. E io, ogni anno, lo aspetto con pazienza e trepidazione.
Quest'anno, però, tutto è stato diverso. È bastato un istante per cancellare settimane di cura, di attese, di piccoli gesti quotidiani che avevano reso il mio giardino pronto a dare il meglio di sé. La grandine è arrivata improvvisa, senza preavviso, come spesso accade qui vicino al confine. Non è stato un semplice temporale, è stato un bombardamento di chicchi gelati, non grandi ma tantissimi, caduti con una violenza implacabile. Tanto che la strada appariva come dopo una nevicata.
Quando ho aperto la porta per guardare fuori, il giardino, mi sono sentita smarrita: i fiori del glicine erano lì, tutti al suolo, come se i rami fossero stat travolti da qualcosa di troppo pesante da sopportare. Le rose sembravano sfiorite in un istante, i loro boccioli aperti prematuramente, macchiati e spezzati. Gli iris, piegati e sfiniti, apparivano come figure in lutto per qualcosa di prezioso che avevano perso. Per non parlare delle tenere foglie delle hosta. Tutte spezzate.
Eppure, il danno maggiore non è stato solo estetico. Mi ha colpito l'idea di tempo e dedizione cancellati così velocemente, la fragilità di qualcosa che avevo visto crescere e sbocciare giorno dopo giorno, e la consapevolezza di quanto fossi profondamente legata a questo piccolo angolo di mondo. Un giardino non è soltanto bellezza, è anche cura, pazienza e un dialogo silenzioso che si costruisce lentamente, nel tempo.
Domenica ho in programma un pranzo con amici sotto al gazebo. Immaginavo un'atmosfera perfetta: i colori, il profumo dei fiori appena sbocciati, la tavola imbandita immersa in una cornice naturale che avevo pensato con amore. Oggi, invece, il cielo grigio e le piante rovinate rendono tutto quasi surreale, come il set di un film triste, fermato su un fotogramma sbagliato.
Ieri a Gorizia, a pochi chilometri da qui, i social erano pieni di foto di un doppio arcobaleno splendido, colto al volo da chi si era trovato nel punto giusto al momento giusto. Un contrasto crudele: loro con l'arcobaleno, noi con l'inferno di ghiaccio. È strano quanto la natura possa mostrarsi così diversa in luoghi così vicini.
Ora sento soltanto silenzio, rotto appena dal gracchiare della rana nel laghetto. Un po' di rabbia, inutile negarlo, ma soprattutto la consapevolezza che tutto questo passerà. Sarà necessario pulire, potare, attendere ancora una volta. Non sarà facile, ma la natura sa sempre come sorprendere. Forse già domenica, quando gli amici saranno qui, riusciremo a ridere, brindare, raccontare. Magari non sotto il glicine fiorito, ma ugualmente insieme, a celebrare la resilienza silenziosa che ci lega ai luoghi e alle persone che amiamo.