sabato 20 novembre 2021

Luoghi magici da conoscere: il Labirinto della Masone

Non conoscevo il Labirinto della Masone fino a quando non me ne ha parlato un’amica che lo aveva da poco visitato. Poi, l’occasione di scoprirlo in tutta la sua magnificenza nel tenerissimo film di Walter Veltroni “C’è tempo” che ho avuto modo di commentare su Maymovies.

Inevitabile, quindi, alla prima occasione possibile, il desiderio di visitarlo. E così è stato complice l’incantevole week end dell’estate di San Martino e la stagione del tartufo nero. Il labirinto è una tra le fantasie più antiche dell'umanità: simboleggia la fatica del percorrere la vita, ma anche la speranza di una via di uscita. E quindi quale occasione migliore che questa iniziazione? Ovvero addentrarsi nel percorso realizzato e delimitato da più di duecentomila piante di bambù di specie differenti. Ed il bambù, ne sono sicura, non è stato scelto a casa dal suo ideatore, il genio creativo Franco Maria Ricci. Perché dal punto di vista simbolico, lo spazio che si trova tra i suoi cavi e il fatto che questa pianta sia slanciata verso l’alto, rappresentano per il buddhista e per il taoista un vero e proprio segno del destino. E’ per questo che il bambù è una pianta unica nel suo genere: è ricchissima di valori affettivi e simbolici. Già rappresentato in diverse incisioni rupestri il labirinto, tutti certamente ne conoscono la storia, compare nel mito greco con Minosse, re di Creta, che incarica Dedalo di costruire un labirinto per imprigionare il mostruoso Minotauro.

E nel labirinto della Masone c’è certamente il rischio di perdersi. Per questo motivo, all’ingresso, vengono fornite tutte le informazioni necessarie a superare l’eventuale impasse. A meno che non si abbia una figlia ordinata e diligente, come la mia, che all’entrata fotografa la mappa con lo smartphone, e che quindi ci guida tranquilla verso l’uscita. Insomma meglio ignorare, nel labirinto della Masone, il suggestivo aforisma “del perdersi e ritrovarsi”; perché se ci si perde non c’è scampo. Ma a Fontanellato non c’è soltanto il labirinto di bambù da visitare. C’è un’idea da condividere manifestata dal suo ideatore: “Il bambù è una pianta sempreverde, elegante, flessuosa, vigorosa, rapida nella crescita. La sua forza è l’elevata fotosintesi che riduce l’anidride carbonica restituendo ingenti quantità di ossigeno. La Fondazione Franco Maria Ricci favorirà il restauro del paesaggio padano, rovinato da capannoni disadorni, proponendo agli imprenditori di utilizzare il bambù per mascherare le brutture con cortine verdi e fornendo le piante necessarie e un servizio di consulenza.”

E c’è una collezione d’arte, alimento per occhi, cuore ed anima. Disposta su cinquemila metri quadrati, eclettica e curiosa, la collezione d’arte rispecchia il gusto di Franco Maria Ricci. Così la descrive il sito istituzionale. I pezzi sono circa cinquecento e attraversano cinque secoli di Storia dell’Arte, dal XVI al XX. Si va dalla grande scultura del Seicento a quella neoclassica, ai busti dell’epoca di Napoleone, a cui fanno da controcanto le Vanitas, nature morte con teschio, spesso granguignolesche, qualche volta opera di artisti famosi, come Ligozzi. Non mancano i manieristi (Carracci, Cambiaso…), né artisti legati agli anni d’oro del ducato di Parma (Boudard, Baldrighi, Ferrari…), né la pittura dell’Ottocento, tra cui spicca Hayez. Infine, a documentare gli accostamenti al Novecento, le opere di Wildt, Ligabue, Savinio, unite alle eleganze di epoca Déco. L’allestimento non è quello casuale di una quadreria, né quello scientifico di un Museo: procede per associazioni, e non si astiene dal sottolineare i parallelismi che esistono tra le scelte di editore e quelle di collezionista.

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