venerdì 27 agosto 2021

Ricorrenze agostane

Oggi è un giorno particolare e me l’ha ricordato Alexa che, per fortuna, mi supporta adesso che la memoria non è più quella di un tempo e mi dimentico anche di consultare l’agenda cartacea di Gardenia che, di anno in anno, acquisto ad ottobre. Il 27 agosto, infatti, è il compleanno di un caro amico che, lo corso anno, mi ha ricordato di essere nato il medesimo giorno in cui Cesare Pavese si era tolto la vita a Torino. Ricorrenza che, nonostante la mia passione giovanile per questo scrittore avevo del tutto dimenticato. E questo, ovviamente, non succederà più vista la coincidenza.

Avrei pensato, comunque, a Cesare Pavese, stamattina, mentre attraversavo le colline di San Daniele del Friuli per raggiungere Pradis, tenuto conto che la strada era fiancheggiata da campi infiniti di granoturco. Che i campi di mais mi portino, inevitabilmente, al cantore delle Langhe è legato al fatto che ho amato ed amo tantissimo il suo racconto dal titolo proprio: Il campo di granoturco. Ed oggi mi sono trovata al posto giusto nel momento giusto.

Marcel Proust ne Il tempo ritrovato scriveva che “Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso.” Ed è vero. Prima di aver letto le pagine di Cesare Pavese, il campo di mais era per me soltanto la meta finale delle scorribande in bicicletta tra i campi, per raccogliere le pannocchie non ancora mature da cucinare alla griglia assieme agli amici, alla luce dei falò.

"Il giorno che mi fermai ai piedi di un campo di granturco e ascoltai il fruscìo dei lunghi steli secchi mossi nell'aria, ricordai qualcosa che da tempo avevo dimenticato. Dietro il campo, una terra in salita, c'era il cielo vuoto. "Quest'è un luogo da ritornarci", dissi, e scappai quasi subito, sulla bicicletta, come se dovessi portare la notizia a qualcuno che stesse lontano. Ero io che stavo lontano, lontano da tutti i campi di granturco e da tutti i cieli vuoti. Quel giorno fu un campo; avrebbe potuto essere una roccia impendente sopra una strada, un albero isolato alla svolta di un colle, una vite sul ciglio di un balzo. Certi colloqui remoti si rapprendono e concretano nel tempo in figure naturali. Queste figure io non le scelgo: sanno esse sorgere, trovarsi sulla mia strada al momento giusto, quando meno ci penso. Non c'è persona di mia conoscenza che abbia un tatto come il loro.

Quel che mi dice il campo di granturco nei brevi istanti che oso contemplarlo, è ciò che dice chi si è fatto aspettare e senza di lui non si poteva far nulla. " Eccomi", dice semplicemente chi si è fatto aspettare, ma nessuno gli toglie lo sguardo astioso che gli viene gettato come a un padrone. Invece, al cielo tra gli steli bassi do un'occhiata furtiva, come chi guarda di là dall'oggetto quasi in attesa che questo si sveli da sé, ben sapendo che nulla ci si può ripromettere che esso già non contenga, e che un gesto troppo brusco potrebbe farne traboccare malamente ogni cosa. Nulla mi deve quel campo, perché io possa far altro che tacere e lasciarlo entrare in me stesso. E il campo, e gli steli secchi, a poco a poco mi fruscìano e mi si fermano nel cuore. Tra noi non occorrono parole. Le parole sono state fatte molti anni fa.

Quando veramente? Non so. E nemmeno so che cosa potevano essersi detto, un campo di granturco e un ragazzo. Ma un giorno mi ero certo fermato. Come se con me si fermasse il tempo, e poi il giorno dopo, e un altro ancora, per tutta una stagione e una vita, davanti a un simile campo; e quello era stato un limite, un orizzonte familiare attraverso cui le colline, basse tant'erano remote, trasparivano come visi a una finestra. Ogni volta che avevo osato un passo dentro la selva gialla, il campo doveva avermi accolto con la sua voce crepitante e assolata, e le mie risposte erano state i gesti cauti, a volte bruschi, con cui scostavo le foglie taglienti, mi chinavo ai convolvoli, e di là dagli steli alti ficcavo lo sguardo al vuoto del cielo. C'era in quel crepitìo un silenzio mortale, di luogo chiuso e deserto, che schiudeva nel cielo lontano una promessa di vita ignota, impervia e seducente come le colline.

Che il tempo allora si sia fermato lo so perché oggi ancora davanti al campo lo ritrovo intatto. E' un fruscìo immobile. Capisco d'avere innanzi una certezza, di avere come toccato il fondo di un lago che mi attendeva, eternamente uguale. L'unica differenza è che allora osavo gesti bruschi, penetravo nel campo gettando un grido alle colline familiari che mi pareva mi attendessero. Allora ero un bambino, e tutto è morto di quel bambino tranne questo grido.

La stagione di quel campo è l'autunno, quando tutto si ridesta nelle campagne dietro ai filari di granturco. Si odono voci, si fanno raccolti, di notte si accendono fuochi. L'immobilità del campo contiene anche queste cose, ma come a una certa distanza, come promesse intravedute fra i rami. Il disseccarsi delle foglie apre sempre maggiori tratti di cielo, rivela più nudamente le colline lontane. Si pensa anche a quel che c'è dietro, e alle presenze notturne sul ciglione della selva. Sale a volte nel ricordo il crepitìo delle foglie gialle, e come il dibattersi di corpi in lotta. Ormai, nella distanza, sono una cosa sola i falò notturni sui colli e l'imbrunire fra gli steli vaghi del campo. Rassicura soltanto il pensiero che chi si è buttato a terra nascondendosi è il ragazzo, e che dagli steli pendono grosse pannocchie che i contadini verranno a raccogliere domani. E domani il ragazzo non ci sarà più.

Queste cose accadono ogni volta che mi fermo davanti al campo che mi aspetta. E' come se parlassi con lui, benché il colloquio si sia svolto molti anni fa e se ne siano perdute anche le parole. A me basta quell'occhiata furtiva che ho detto, e il cielo vuoto si popola di colline e di parvenze."

(Da Racconti, Einaudi, Torino 1953)

mercoledì 11 agosto 2021

Green Pass e diritto. I conti non sempre tornano

Quando avevo 40 anni ho avuto la fortuna di fare una bellissima esperienza che, nonostante mi abbia logorata molto anche per la conclusione inaspettata che ha avuto, è stata molto ricca. All’epoca in cui non esistevano ancora le quote rosa, venni nominata assessore provinciale con deleghe importantissime quali la viabilità, l’urbanistica e l’edilizia scolastica. Il mio orgoglio, tutto femminile, di essere, in assoluto, la prima donna a ricoprire quel ruolo in seno alla Giunta provinciale, era conseguente anche al fatto che, nel medesimo periodo, ricoprivo – in regione – il ruolo di Consigliera per la parità. Fui, infatti, la prima a ricoprire tale incarico e, tra le poche carte che conservo di quel periodo decisamente impegnativo, custodisco ancora l’atto di nomina firmato dall’allora Ministro del lavoro Gianni de Michelis!

Lavorai con passione, tanta, inconsapevole che l’esperienza e la conoscenza viaggiano a pari passi con l’avanzare dell’età. Oggi, in sostanza, guardando a quel periodo ritengo di essere stata un’incosciente ad aver assunto un incarico così impegnativo ed anche di aver privato la mia famiglia del tempo che avrei dovuto dedicare a loro, invece di cercare di contrastare gli avversari politici, ridicolmente più interni all’area politica che mi aveva espresso, rispetto agli altri della compagine di maggioranza. Anche se mi rincuora molto veder realizzato ciò che avevo utopisticamente immaginato. Oggi sono certamente meno pasionaria ma certamente altrettanto combattiva. Sopratutto nel cercare di far valere le ragioni del diritto nelle situazioni che la vita molto spesso chiede di affrontare.

Una questione che sto seguendo, in queste ultime settimane, è quella relativa all’obbligo del green pass per accedere a determinate attività. Professionalmente, mi è stato richiesto di occuparmene e venerdì 6 agosto è uscito sul quotidiano nazionale ItaliaOggi questo mio articolo dal titolo: “Da oggi lasciapassare per ristoranti, sagre, piscine, musei.”

“Da oggi obbligo del green pass per l'accesso a diversi servizi e attività. L’ha deciso il Governo con il decreto legge 105 del 23 luglio scorso (art. 3) che, di fatto, è andato ad integrare la normativa che ha formalmente istituito la Certificazione verde COVID-19, ovvero il decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52. Una novità questa che è stata fin da subito motivo di perplessità, da parte degli operatori economici e le associazioni rappresentative degli stessi, per i dubbi interpretativi conseguenti alla formulazione della disposizione che ha introdotto l’obbligo del cosiddetto Green Pass. In pratica, da oggi 6 agosto libera circolazione o meglio libertà di accesso a ristoranti, piscine, musei, sagre e convegni, tanto per citarne alcuni, soltanto a chi esibisce la certificazione verde COVID-19 e questo a prescindere dalla situazione di ogni singola regione ed ovviamente laddove i servizi e le attività siano consentiti.

La certificazione. Si tratta, in sostanza, di una Certificazione in formato digitale e stampabile, emessa dalla piattaforma nazionale del Ministero della Salute, che contiene un QR Code per verificarne autenticità e validità. In base, pertanto, a quanto contenuto nel decreto legge istitutivo, i titolari o gestori dei servizi e delle attività con obbligo di Green Pass sono tenuti ad effettuare le verifiche delle certificazioni utilizzando l’apposita applicazione ufficiale e gratuita VerificaC19 che può essere scaricata utilizzando i consueti mezzi di download (Play Store di Google per le versioni Android e Apple Store per quelle Ios tanto per intenderci). L’applicazione può essere installata su qualsiasi dispositivo mobile, quale cellulare o tablet e funziona anche senza connessione ad Internet e quindi offline. L’applicazione consente di verificare l’autenticità e la validità delle certificazioni senza memorizzare informazioni personali sul dispositivo del verificatore.

La verifica. Il Green Pass è richiesto dal verificatore all’interessato che mostra il relativo QR Code (in formato digitale oppure cartaceo). A questo punto l’app VerificaC19 legge il QR Code, ne estrae le informazioni e procede con il controllo del sigillo elettronico qualificato. In pratica, l’applicazione mostra graficamente al verificatore l’effettiva validità della Certificazione nonché il nome, il cognome e la data di nascita dell’intestatario della stessa. E’ a questo punto che, secondo le indicazioni del Governo contestate tuttavia dalle associazioni di categoria, l’interessato, su richiesta del verificatore, è tenuto ad esibire un proprio documento di identità in corso di validità ai fini della verifica di corrispondenza dei dati anagrafici presenti nel documento con quelli visualizzati dall’App.

La posizione delle associazioni. Secondo Confesercenti, pur comprendendo le motivazioni che hanno portato all’obbligo del Green Pass soprattutto in una logica preventiva per scongiurare le chiusure, è stata ribadita la contrarietà a imporre ai pubblici esercizi il ruolo di controllore in sostituzione dello Stato. Posizione analoga quella del Sindacato Totoricevitori Sportivi. “L’operazione di vigilanza e controllo all’interno delle nostre tabaccherie e corner sportivi è realmente troppo complicata e fa nascere una serie di nuovi problemi, in un momento in cui sarebbe necessario tornare alla normalità, hanno affermato. Auspicando, peraltro, che il Governo valuti attentamente l’utilizzo dello strumento appena introdotto, affinché esso porti realmente maggiore libertà di movimento e non si trasformi, invece, in una barriera all’ingresso”. Per la Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, “i gestori di bar e ristoranti faranno quanto possibile per favorire il controllo del green pass di chi vorrà accedere agli spazi al chiuso, ma serve la possibilità di utilizzare l’autocertificazione per responsabilizzare i clienti. Noi faremo ancora una volta la nostra parte con grande senso di responsabilità e spirito di sacrificio, nonostante la consapevolezza che la norma rischia di impedire l’accesso ai locali di una fetta consistente di popolazione, in particolare giovani e giovanissimi, che è ancora in attesa di ricevere la prima dose di vaccino. Non per una scelta individuale, sia chiaro, ma per i tempi tecnici di una campagna vaccinale che ancora non si è conclusa.”

Un piccolo box in fondo pagina, ristretto per esigenze tipografiche, dal titolo inequivocabile: “Uno scontro tra due norme sul caffè e cornetto al bar”, faceva sintesi di quanto avevo proposto alla redazione:

“Nessun obbligo di Green Pass per cornetto e cappuccino al bar, neanche se seduti al tavolo. Ciò in quanto l’obbligo di esibire la certificazione COVID-19 è limitata al servizio di ristorazione. E nessun vincolo nemmeno per il trattenimento dal tabaccaio. Perché il Governo ha deciso l’accesso vincolato soltanto alle sale giochi. Insomma, la legge è legge ed il decreto varato dal Governo il 23 luglio scorso va letto in sintonia con quanto il legislatore ha stabilito dieci anni fa. Infatti, l’art. 1, comma 2 del decreto legge 1/2012, (legge conv. 27/2012) afferma che: “Le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all'accesso ed all'esercizio delle attivita' economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalita' di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l'iniziativa economica privata e' libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunita' tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all'ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana e possibili contrasti con l'utilita' sociale, con l'ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica.”

Che quanto avevo scritto (seppur sintetizzato) sia scivolato via è assolutamente palese. Come ben lo dimostrano i titoli di giornali e TV che continuano a parlare di obbligo di green pass per bar e ristoranti. E allora, mettiamo i puntini sulle “i”! Il green pass è obbligatorio per ristoranti, pizzerie ma non per bar e pasticcerie. Lo dispone, inequivocabilmente, il decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105 laddove, all’articolo 3, prevede che: “A far data dal 6 agosto 2021, e' consentito in zona bianca esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi COVID-19, di cui all'articolo 9, comma 2, l'accesso ai seguenti servizi e attivita': a) servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio, di cui all'articolo 4, per il consumo al tavolo, al chiuso. […]”

Se qualcuno si fosse chiesto quali siano i servizi di ristorazione avrebbe trovato la risposta nell’art. 5 della legge 287/1991 che individua le tipologie degli esercizi pubblici distinguendoli in: a) esercizi di ristorazione, per la somministrazione di pasti e di bevande, comprese quelle aventi un contenuto alcoolico superiore al 21 per cento del volume, e di latte (ristoranti, trattorie, tavole calde, pizzerie, birrerie ed esercizi similari);

b) esercizi per la somministrazione di bevande, comprese quelle alcooliche di qualsiasi gradazione, nonche' di latte, di dolciumi, compresi i generi di pasticceria e gelateria, e di prodotti di gastronomia (bar, caffe', gelaterie, pasticcerie ed esercizi similari.

E allora è lecito prendere atto che non sempre le notizie che vengono fornite da giornali e tv (per non parlare della rete) sono esatte….. Purtroppo, i tempi stretti non sempre consentono il necessario approfondimento. Ma credo che quando si tratta di limitare le libertà personali o imprenditoriali, Governo e Parlamento dovrebbero fare chiarezza. Perché in diritto vanno evitati i termini vaghi. E’ la prima regola che, all’Università, mi avevano insegnato nel corso di teoria e tecnica della normazione. Un corso al quale dovrebbero essere obbligatoriamente chiamati a frequentare tutti coloro i quali scrivono leggi o regolamenti.

La casa che ti sceglie

Ogni anno, a novembre, acquisto Gardenia perché, allegata alla rivista, c’è un’agenda. Nonostante mi consideri abbastanza informatizzata, e ...