domenica 5 novembre 2023

La casa che ti sceglie

Ogni anno, a novembre, acquisto Gardenia perché, allegata alla rivista, c’è un’agenda. Nonostante mi consideri abbastanza informatizzata, e legga quasi esclusivamente i libri in formato digitale, ancora non mi sono abituata ad usare l’agenda digitale. Amo l’agenda di Gardenia in quanto percepisco meglio il trascorrere dei mesi e delle stagioni; con i fiori e le piante che attraverso le immagini in acquarello, scandiscono lo trascorrere del tempo.

Oggi, che avendo un po’ di tempo, ho iniziato a sfogliare la rivista, nella rubrica delle “idee” ho trovato una piacevole sorpresa nel titolo: “Oriente, legna e fuoco accendono l’autunno”. Non ho alcun dubbio si tratti esclusivamente di una coincidenza, ma il fatto di aver deciso di arredare in stile orientale la mia nuova casa, mi ha emozionata non poco. Non amo le modernità ed il mio stile è strettamente personale. Le case si arredano da sole, sostengo sempre più spesso, come è anche vero che la “casa che fa per te” è lei che ti sceglie. L’ultima conferma l’ho avuta nelle scorse settimane. Da tempo stavo dietro ad un appartamento in pieno centro, nella mia città, ma leggermente defilato dal traffico e dal chiasso. Due meravigliose stanze con pavimento in terrazzo alla veneziana e con un decoro yin e yang realizzato all’inizio del secolo scorso, mi avevano assolutamente stregata. Dopo l’ultima visita, accompagnata dai miei amici architetti la decisione finale: quell’appartamento ai piedi del castello doveva essere mio, anche se le condizioni complessive dell’immobile lasciavano a desiderare dal punto di vista della manutenzione. E questo fatto, per me che considero l’accesso un elemento molto importante essendo di fatto il primo impatto per coloro i quali vi accedono, rimaneva un cruccio che, tuttavia, speravo di poter superare nel futuro. L’intenzione era quella di passare in agenzia per formalizzare la proposta di acquisto, dopo aver consumato al bar l’aperitivo serale. Poi, vista l’ora, la decisione di rinviare il tutto all’indomani mattina.

Di norma, alla sera, mentre a letto guardo una serie alla TV, ho sempre il tablet a portata di mano. Perché c’è sempre qualche notizia interessante da approfondire o qualche messaggio al quale dover rispondere rapidamente. Quel giorno, per un impulso – posso dire decisamente istintivo – ho deciso di dare una occhiata, ancora una volta, alle case in vendita nella mia città. Ed eccola lì la casa dei miei sogni! Non nel sito destinato esclusivamente al mercato immobiliare, ma in un sito generico che fa incontrare domanda ed offerta sui più vari articoli e prodotti. Ecco la casa, proprio come la cercavo: bifamiliare, centrale ma defilata, d’inizio secolo ma senza troppi lavori da fare e delle dimensioni ottimali. Non mi sembrava vero! E’ stato veramente difficile attendere il mattino successivo per inviare un messaggio al contatto dell’agenzia indicato, tanta era l’adrenalina che avevo in corpo. Ma ce l’ho fatta. Anche se ho dovuto pazientare una settimana, prima di poter effettuare la visita all’abitazione.

L’interno è neutro. Pavimenti in legno, come piacciono a me, tre terrazze, un bagno sufficientemente grande ed uno spazio da utilizzare per nascondere la lavatrice e riporre il materiale per la pulizia. Insomma, tutto quello di cui avevo bisogno. Potevo, quindi, dare il via alla realizzazione della mia casa in stile orientale. All’inizio, la mia intenzione era quella di arredarla in stile indiano e chiamarla “La casa di Kipling”, ma poi, memore dell’atmosfera presente in diversi film che ho amato molto, la mia scelta è ricaduta su un’area geografica più ampia. Ed ecco, quindi, la Oriental house. Da coincidenza in coincidenza, ho iniziato a fare i primi acquisti: il tessuto per la tappezzeria, (l'irrinunciabile toile de jouy) dal mio abituale fornitore francese, ed un paravento indiano. Ed ecco che, sfogliando una rivista ho scoperto che, proprio in queste settimane è stata allestita, a Milano dalla Fondazione Prada, una mostra di paraventi, ovvero quell'oggetto che iniziò ad essere conosciuto, esportato e poi reinterpretato nella cultura visiva occidentale il compito di custodire le più importanti narrazioni storiche e sociali delle rispettive culture.

I meravigliosi paraventi sono esposti nei locali della Fondazione Prada in Largo Isarco,2 – Milano ed è possibile visitrarla fino al 22 febbraio 2024.

Per saperne di sulla mostra più leggi l'articolo di Living Corriere

lunedì 30 ottobre 2023

La migliore del giorno: orecchie riscaldanti

Al giorno d'oggi la comunicazione, vera o falsa, viaggia in rete. E' sufficiente aprire una nuova scheda per fare una ricerca, ed ecco che la pagina ti propone le notizie: più o meno interessanti è ovviamente una questione soggettiva. Devo ammettere, però, che perlomeno dare un'occhiata alle informazioni proposte è una vera e propria droga alla quale è difficile sfuggire. E non è soltanto google a farlo. Per quanto mi riguarda uso abitualmente duckduckgo come motore di ricerca ma il senso non cambia. E ciò "In quanto parte integrante della famiglia Firefox, Pocket mette in evidenza una selezione dei migliori articoli, offrendo nuove prospettive, approfondimenti intriganti, classici intramontabili, il tutto con lo stesso rispetto per la privacy che ti aspetti da Firefox e Mozilla". Così si presenta la mia pillola giornaliera. Ho deciso, quindi, di conservare in questo Blog le notizie più interessanti trovate in rete, come si suol dire "a futura memoria". Oggi, ad esempio, ho trovato il gradevole articolo scritto da Lavinia Martini per Cibo today.

"La storia della stramba origine dei jiaozi cinesi, ovvero, il medico che inventò i ravioli cinesi per curare il congelamento delle orecchie“. I famosi jiaozi, (ci raccoonta Marina) uno dei cibi cinesi più riprodotti nel mondo, sono legati a una leggenda simpatica che ne spiegherebbe anche la sagoma. Per scoprirla, bisogna fare un salto indietro di almeno 2000 anni.

La storia della stramba origine dei jiaozi cinesi

La loro invenzione è frutto di una leggenda che ha quasi dell’incredibile, associata a un medico, Zhang Zhongjing, che visse all’incirca tra il 150 e il 219. Le date di nascita e di morte sono argomento di dibattito. Zhongjing è considerato uno dei padri della medicina tradizionale cinese, una sorta di “Ippocrate cinese” come si legge talvolta, oppure “Il santo della medicina”, come si legge tal altra. Era scrittore, inventore, farmacista e fisico, oltre che medico. A lui viene anche attribuita l’invenzione dei jiaozi, i ravioli cinesi creati per aiutare le persone che soffrivano di congelamento delle orecchie.

La storia è molto nota anche al di fuori della Cina. Zhang Zhongjing fece visita, dopo una lunga assenza, al suo villaggio natio durante l'inverno. Qui notò che molti dei suoi concittadini soffrivano di geloni, soprattutto intorno alle orecchie. Per risolvere il problema, Zhang cucinò della carne di montone, peperoncino ed erbe curative e la avvolse in ritagli di pasta. A questi fagottini diede la forma di piccole orecchie, li fece bollire e li distribuì ai suoi vicini, affinché mangiandoli si riscaldassero e favorissero la circolazione. Agli abitanti del villaggio quel dono piacque così tanto che continuarono a prepararne la ricetta. Sempre secondo la storia, datata a più di 1800 anni fa, Zhang avrebbe distribuito i ravioli ai suoi conterranei dal giorno del solstizio d’inverno fino a Capodanno. Questo spiegherebbe perché, ancora oggi, i jiaozi sono un piatto molto preparato in inverno, soprattutto nel nord della Cina.

Non ci sono parole che possano descrivere con precisione l'affetto dei cinesi per i ravioli, poiché questo cibo è già diventato un simbolo di casa e calore” scrive China Daily. Sebbene in molte culture gastronomiche (come la nostra) siano presenti sfoglie di pasta tirata e ripiena, quella dei ravioli cinesi è una scienza che ha conquistato mezzo mondo. Secondo una versione riportata da BBC, la forma non va spiegata con quella delle orecchie perché “i jiaozi assomigliano ai lingotti d'oro o d'argento utilizzati nell'antica Cina e per questo sono diventati simbolo di ricchezza”. Insomma l’origine non è certa, come la fama odierna, ma la storia è affascinante.“

sabato 26 agosto 2023

La bella estate: un film da non perdere

Amo in maniera smodata il cinema. Forse perché incarna la complessità della condizione umana, la creatività illimitata e la potenza delle storie condivise. È un'arte che attraversa le barriere linguistiche (anche se personalmente non amo i film doppiati e quando posso cerco le versioni in lingua originale) così come quelle culturali, toccando il cuore e la mente di chiunque si immerga in esso. Adoro i film indiani e recentemente ho scoperto l’unicità del cinema argentino. Insomma, il cinema è molto più di una pellicola proiettata su uno schermo; è un mezzo attraverso il quale possiamo esplorare mondi fantastici, emozioni profonde, storie avvincenti e messaggi significativi. Purtroppo, l’era pandemica mi ha disabituata alla frequentazione delle sale cinematografiche, ma l’ ottantacinque pollici che ci siamo presi riesce comunque a trasportarmi in luoghi lontani e farmi immergere in realtà alternative. Vivere storie attraverso gli occhi dei personaggi, provare le loro gioie e le loro tristezze, è qualcosa che riesco a fare anche da casa, comodamente distesa in poltrona.

Stamattina, comunque, ho deciso che sarei andata al cinema, ovunque in provincia fosse stato proiettato il film “La bella estate” che sarebbe dovuto uscire il 24 agosto, ovvero giovedì scorso. Ma invece niente! Lo danno a Pordenone (Cinemazero) a Trieste (Giotto), a Udine (Visionario) ed, infine, al The Space Cinema di Pradamano. Tra Gorizia, Monfalcone e Villesse, nulla di fatto. Peccato veramente. Il film porta il titolo della trilogia La bella estate, raccolta di tre romanzi brevi di Cesare Pavese pubblicata nel 1949, anno peraltro in cui scrisse il racconto “Tra donne sole” dal quale è stata tratta la sceneggiatura del film. L’opera completa gli valse, nel 1950, il Premio Strega ma l'importante riconoscimento non fu sufficiente ad evitargli di dare un senso al “vizio assurdo” che da sempre l’aveva tormentato. Domani, 27 agosto, ricorre l’anniversario della sua morte. 73 anni. Tanti quanto i miei, cresciuta – dai 16 anni in su – all’insegna del suo mito. Tanto da indurmi, ogni volta che ne ho la possibilità, a girovagare tra le sue amate Langhe.

Il romanzo, Tra donne sole, che già nel 1955 è stato utilizzato per la sceneggiatura di un film: Le amiche, per la regia di Michelangelo Antonioni, racconta la storia di Clelia, una modista che torna a Torino dopo 17 anni per aprire un nuovo negozio. Clelia entra in contatto con il mondo della borghesia torinese, fatto di feste, amori e noia, e conosce Rosetta, una ragazza che ha tentato il suicidio. Clelia cerca di aiutare Rosetta, ma si rende conto che la vita di quelle donne è vuota e priva di senso. Il romanzo è una riflessione sulla solitudine, sul rapporto tra le classi sociali e sul ruolo della donna nella società del dopoguerra.

Laura Luchetti, regista del nuovo adattamento, ha preferito utilizzare il titolo della trilogia, La Bella estate, appunto. Nella presentazione su Mymovies Tommaso Tocci mette in evidenza il romanzo di formazione al femminile ambientato nella Torino dell'immediato pre-guerra. Una storia d'amore celata e di rapporto fiorente con il proprio corpo e il proprio desiderio. La bella estate inquadra con maturità il racconto della giovinezza inquieta, dandogli anche una veste formale elegante e dal sapore classico. Nel creare la versione in immagini della prosa di Pavese, la regista ha confezionato un film sull'insidioso processo di farsi oggetto dello sguardo altrui, impresa ancora più ardua quando non si conosce (ancora) la propria identità, come nel momento transitorio dello sbarco nell'età adulta. Un film, quindi, attualissimo che non si può proprio perdere e consigliato anche alla generazione di giovani ragazze che la propria immagine amano ostentare.

lunedì 12 giugno 2023

Cinema d'estate: la mia rassegna

E' tempo di cinema. Mentre in tutta Italia fioriscono le iniziative, anche nel mio o meglio nel nostro piccolo, iniziamo a parlare di cinema. Perchè non c'è estate senza film. Chiusa ormai la rassegna a Cannes, in città si sta già iniziando a parlare del premio Amidei. Nel nostro giardino, per gli amici vecchi e nuovi quest'anno il tema sarà il cinema argentino.

Chi mi conosce sa che amo il cinema ed anzi, in questi ultimi anni, la passione è aumentata. Forse perché sono cresciuta a pane e cineforum ed i ricordi e le abitudini della giovinezza cercano di entrare nella routine quando gli anni si fanno sentire. Il cinema è un'arte meravigliosa perché offre un'esperienza unica di intrattenimento e narrazione. Ci sono così tanti generi diversi e film di tanti paesi che si possono scoprire e apprezzare ed io adoro condividere con gli amici storie più o meno note. Nel passato ho organizzato anche delle mini rassegne: una dedicata al cibo ed una al giardinaggio, tra le altre. Quest’anno, reduce da alcune interessanti visioni, mi sono innamorata del cinema argentino. Il cinema argentino è diverso da ogni altro tipo. E’ unico, se così possiamo dire. Del resto, ha una ricca e stimolante storia che si estende per oltre un secolo. Sin dagli inizi del XX secolo, infatti, l'Argentina ha giocato un ruolo significativo nella produzione cinematografica latinoamericana, contribuendo a sviluppare un'identità cinematografica unica e originale.

Una delle caratteristiche distintive del cinema argentino è la sua diversità tematica e stilistica. I registi argentini si sono distinti per la loro audacia nell'esplorare una vasta gamma di argomenti sociali, politici e culturali. E’ pur vero che molti film argentini affrontano temi come la dittatura militare degli anni '70 e '80, la memoria storica, l'identità nazionale, le disuguaglianze sociali e le sfide della classe lavoratrice e questi film spesso offrono una riflessione profonda sulla società argentina e sui suoi conflitti interni.

Ma ciò che amo principalmente, a prescindere pertanto dai film prettamente politici, è l’ironia con la quale vengono raccontate storie più o meno di fantasia. Perché c’è da dire che le commedie argentine hanno una lunga tradizione nel cinema del paese e sono amate sia a livello nazionale che internazionale. Questi film sono spesso caratterizzati da un umorismo intelligente, situazioni comiche esilaranti e un'attenzione particolare per i dialoghi vivaci. Negli ultimi decenni, il cinema argentino ha prodotto una serie di commedie di successo che hanno conquistato il pubblico sia in Argentina che all'estero. Questi film hanno una capacità unica di catturare l'essenza dell'umorismo argentino. Sspesso affrontano temi universali come l'amore, l'amicizia, la famiglia e le dinamiche sociali. Sono in grado di suscitare risate ma anche di fornire commenti sottili sulle sfide e le contraddizioni della società argentina. Grazie alla loro qualità artistica e al loro appeal internazionale, molte di queste commedie hanno raggiunto un vasto pubblico in tutto il mondo, divenendo un'importante parte del patrimonio cinematografico del paese. Con la loro creatività, il loro umorismo brillante e la loro capacità di connettersi con il pubblico continuano a far ridere e ad intrattenere gli spettatori non soltanto all’interno del Paese.

Questi i titoli che ho scelto: Cosa piove dal cielo? Regia di Sebastián Borensztein 2011 con Ricardo Darín, Ignacio Huang, Muriel Santa Ana, Enric Rodriguez, Ivan Romanelli. Titolo originale: Un Cuento Chino. Genere Commedia.

Criminali come noi. Regia di Sebastián Borensztein. 2019 con Ricardo Darín, Luis Brandoni, Chino Darín, Verónica Llinás, Daniel Aráoz. Titolo originale: La odisea de los giles. Titolo internazionale: Heroic Losers.

Il clan. Regia di Pablo Trapero. 2015 con Guillermo Francella, Peter Lanzani, Lili Popovich, Gastón Cocchiarale, Giselle Motta. Titolo originale: El clan.

Il cittadino illustre. Regia di Gastón Duprat, Mariano Cohn. 2016 con Oscar Martínez, Dady Brieva, Andrea Frigerio, Belén Chavanne, Nora Navas. Titolo originale: El ciudadano ilustre.

Il mio capolavoro. Regia di Gastón Duprat. 2018 con Guillermo Francella, Luis Brandoni, Raúl Arévalo, Andrea Frigerio, María Soldi. Titolo originale: Mi Obra Maestra. Titolo internazionale: My Masterpiece.

La rapina del secolo. Regia di Ariel Winograd. 2020 con Mariano Argento, Rafael Ferro, Guillermo Francella, Luis Luque, Diego Peretti e Pablo Rago.

Storie pazzesche. Regia di Damián Szifrón. 2014 con Ricardo Darín, Oscar Martínez, Leonardo Sbaraglia, Erica Rivas, Rita Cortese. Titolo originale: Relatos Salvajes.

Truman un vero amico è per sempre. Regia di Cesc Gay. 2015 con Ricardo Darín, Javier Cámara, Dolores Fonzi, Eduard Fernández, Alex Brendemühl. Titolo originale: Truman.

Se permetti non parlarmi di bambini. Regia di Ariel Winograd. 2015 con Diego Peretti, Maribel Verdú, Guadalupe Manent, Martín Piroyansky, Horacio Fontova. Titolo originale: Sin hijos

domenica 21 maggio 2023

Passione cinema. Ogni Paese ha la sua specificità

Amo il cinema. Visceralmente. E quindi non posso stare un giorno senza guardare o riguardarne qualcuno. Quando mi viene in mente qualche titolo che ho amato particolarmente me ne acquisto una copia, principalmente su Google play, a meno che non sia disponibile su una piattaforma alla quale sono abbonata. Tra l’altro, devo dire che Raiplay ha un ricco elenco di titoli interessanti in archivio. Sta di fatto che mi sono acquistata un hard disk portatile, anche se ormai conservo la maggioranza nei miei dati nel cloud. Il fatto che una sera il mio gatto abbia fatto la pipì sul mio note book mi ha indotto ad optare per questa soluzione. Dropbox è un ottimo servizio e non corro più rischi di perdere dati importanti. E’ decisamente comodo il sistema degli acquisti su Google paly. Ciò in quanto tutti i miei titoli vengono salvati in una sezione apposita di Youtube. Relativamente alla visione del film sono assolutamente d’accordo con coloro i quali sostengono che guardare i film al cinema offre un'esperienza unica e coinvolgente. Insomma, un'esperienza speciale. Il cinema offre un grande schermo e un sistema audio potente che permette di immergerti completamente nel film. Si può godere di immagini nitide e dettagliate e di un audio coinvolgente che arricchisce l'esperienza complessiva. Ma ad una certa età si diventa pigri ed avere soltanto un paio d’ore a disposizione può essere incompatibile con la programmazione delle sale. Personalmente ho ovviato al problema acquistando un televisore di 85 pollici che ho posizionato ai piedi del letto. Telecomando alla mano, posso sospendere l visione in qualsiasi momento per qualsiasi esigenza. Anche, molto spesso, per un attacco di sonno.

Non ho un genere particolare di preferenza. Molto spesso mi affido al giudizio del pubblico pubblicato su Mymovies e devo dire che se un film non mi prende (come a volte mi succede anche con i libri) non mi faccio scrupolo a sospenderne la visione, magari per riprenderla successivamente, se lo stato d’animo in quel momento non era dei migliori per quello specifico genere.

Ad esempio, amo moltissimo i film nordici, come del resto la narrativa. La saga di Millenium (alla luce dell’aforisma non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace) è stata per me una delle più avvincenti che abbia avuto l’opportunità di leggere. E ciò a prescindere dal suo autore. Non mi è mai capitato prima né penso mi capiterà in futuro, di leggere tutto il libro, dall’inizio alla fine, senza interruzione, senza alcuna sosta al di fuori del tempo per consumare i pasti. Per chi non la conoscesse ancora (ma ne dubito ci sia qualcuno che non ha sentito almeno parlare una volta) la saga "Millennium" è una serie di romanzi scritti dall'autore svedese Stieg Larsson. È composta da tre libri principali: "Uomini che odiano le donne" (titolo originale: "Män som hatar kvinnor"), "La ragazza che giocava con il fuoco" (titolo originale: "Flickan som lekte med elden") e "La regina dei castelli di carta" (titolo originale: "Luftslottet som sprängdes").

La trama principale si concentra sul personaggio di Lisbeth Salander, una giovane hacker e investigatrice privata con un passato complicato. Il giornalista Mikael Blomkvist è il secondo personaggio chiave della serie. I libri seguono le loro vite intrecciate e le indagini su vari misteri, spesso coinvolti in intrighi politici e criminali. La saga Millenium è ampiamente nota ed apprezzata per il suo stile avvincente e il ritratto di personaggi complessi. Larsson affronta temi come la violenza contro le donne, la corruzione e la lotta per la giustizia sociale. I libri sono ambientati principalmente in Svezia, con un'attenzione particolare a Stoccolma.

Purtroppo, Stieg Larsson è deceduto nel 2004 prima che i libri fossero pubblicati, ma il successo internazionale è arrivato postumo. Dopo la morte di Larsson, l'autore David Lagercrantz ha scritto altri tre romanzi che continuano la serie, utilizzando i personaggi di Lisbeth Salander e Mikael Blomkvist. E, per quanto mi riguarda, probabilmente anche grazie al traduttore non ho notato differenze stilistiche. I libri della saga "Millennium" sono stati adattati per il cinema sia in Svezia che negli Stati Uniti. In Svezia, è stata realizzata una trilogia cinematografica basata sulla trama originale dei primi tre romanzi, mentre negli Stati Uniti è stato realizzato un film intitolato "The Girl with the Dragon Tattoo" (titolo italiano: "Uomini che odiano le donne") diretto da Davide Fincher.

Ma quest’anno ho deciso che proporrò ai miei amici nella rassegna estiva che, caldo permettendo, ospiterò in giardino una serie di film argentini che, perlomeno a mio avviso, sono geniali. Ma di questo scriverò nei prossimi giorni.

martedì 17 gennaio 2023

Far parte della staffetta

Ricevo e volentieri pubblico, le riflessioni di Giovanna Campagna a proposito del mio ultimo post sul cinema italiano.

"Seguo con grande interesse questo blog, che mi sono di stimolo e riflessione. Per questo ho colto l'invito a riguardare il film spartiacque di Rossellini e anche gli altri due ambientati a Ostia. A proposito della sincronicità, teoria Junghiana, che mi trovo a riconoscere spesso fra le anse del cammino esistenziale, mi sono soffermata sul diverso sguardo con cui ho approcciato " Roma città aperta". Nella mia prima visione, quella da studentessa universitaria, ho concentrato l'attenzione sugli aspetti prettamente artistici della pellicola: la regia, l'interpretazione degli attori, lo snodarsi degli eventi, culminanti nella scena dell'uccisione di Pina, il personaggio interpretato da Anna Magnani, una vicenda tanto più straziante e disumana perché tratta da un episodio realmente accaduto e che Sergio Amidei (soggettista del film) aveva letto su un opuscolo clandestino. Si trattava di una donna, Teresa Gullace, una combattente per la resistenza che, in cinta, venne uccisa dai tedeschi mentre cercava di salvare il marito. La morte avvenne a Viale Giulio Cesare dove c'è una lapide che la ricorda (dall'articolo di Laura Finicchiaro sul sito archivioannamagnani.it ).

Molti anni dopo, ad una età diversa, in un momento storico che gli echi di una guerra ce li fa sentire sulla pelle, ho rivisto il film soffermandomi su un dialogo in particolare che mi ha molto colpita. Si tratta del momento in cui il Maggiore Bergman, funzionario della Gestapo che cerca di estorcere all' ingegnere Giorgio Manfredi, catturato insieme a Don Pietro, informazioni e nomi degli altri appartenenti alla resistenza, riflette sulla tenacia del detenuto. Manfredi resterà incrollabile fino alla morte per le torture subite, il Maggiore irritato per l'ostinazione del prigioniero, lascia la stanza dove don Pietro è costretto, impotente, ad assistere alla barbarie. Mostruosità si somma a mostruosità e solo la pietà umana, come faro nelle tenebre, spacca il guscio della ferocia attraverso le parole di un ufficiale, in un momento di verità etilica, in risposta all'affermazione di Bergman che sentenzia: "se quest'uomo resiste allora è come un tedesco". L'assioma più profondo è sconcertante, come un balenio improvviso disintegra il castello di carte di un "noi e un voi" concludendo con la sola profonda verità: che l'umanità è una e indivisibile, mossa da stessi bisogni e desideri e che, alla fine di tutto questo orrore, resterà solo l'odio frammisto alle ceneri della distruzione. Bergman cerca di far tacere l'altro ufficiale ma la diga ormai è infranta, riconducendo tutto alla verità di quella atopia, che leggo nel post e che non è più solo "mancanza di luogo " di appartenenza geografica, sociale di quei soggetti marginalizzati, centrifugati dai centri urbani verso periferie di mancanza profonda e di orrore. Il Katà Métron cui fa riferimento Roberto Grimaldi, quella capacità tanto profondamente umana di autoregolazione e controllo degli istinti più mostruosi, che pure sono terrificantemente possibili, è l'unica porta di accesso a quella angusta e tortuosa via verso l'umano, l'unica via degna di essere percorsa.

Sulle altre pellicole mi sono soffermata ( conto di vedere l'intera trilogia di Claudio Caligari, di cui " Non essere cattivo" rappresenta il capitolo finale, il regista è infatti scomparso nel Maggio del 2015 subito dopo il montaggio del film) proprio con questo sguardo: quando la natura si fa dis-umana si aprono le porte all'orrore. Solo se si mantiene accesa la fiaccola della coscienza, quella che alcuni definiscono la "scintilla divina" che abita ciascuno di noi, possiamo sperare di non venire travolti dell'oscurità. Questa fiaccola, come in una staffetta, se la stanno passando tante donne coraggiose, la giornalista di Repubblica Federica Angeli, come le tantissime ragazze iraniane che stanno lottando e perdendo il bene più prezioso, la vita, per uno che loro reputano ancora più importante e imprescindibile: il poter vivere nella propria terra in pace e libertà al grido di " donna, vita, libertà ". La stessa staffetta che guida l'impegno di tanti ragazzi e ragazze di " helping to leave" che aiutano i civili a evacuare da aree di conflitto militare, una migrazione silenziosa, che si sta svolgendo in parallelo al conflitto che, da ormai quasi un anno, ha portato morte e distruzione nei territori dell'Ucraina. " La paura non è un buon motivo per fermarsi" questo il loro motto, questo, come un mantra, avrà accompagnato le scelte della Angeli perché la paura non è mai venuta meno, ha solo lasciato il posto ad una istanza maggiore, insopprimibile, urgente che alberga nel cuore, se solo la si riesce a far risuscitare anche in quei destini che bellezza e amore non hanno mai incontrato e devono costruirsene una rielaborazione astratta. Scegliere dunque nonostante tutto il male conosciuto, sofferto, vissuto, di " Non essere cattivo" di non essere prigioniero del proprio vissuto ma libero nel proprio futuro. Ecco che la riflessione finale, sul cinema italiano, da cui per diversi anni mi ero allontanata, è che stia rivivendo un nuovo rinascimento, come se nella scelta neorealista alberghi la cifra del suo messaggio più forte, più compiuto, forse perché più autenticamente sentito.

lunedì 9 gennaio 2023

Roma e cinema: un connubio complesso

C’è chi sostiene che le coincidenze non esistono. Per dirla in maniera dotta, alla maniera di Jung, esiste nel flusso di eventi causali una linea di eventi acausali e cioè che non ha nessun collegamento apparente in natura con la legge di causa ed effetto, mossi da una qualche energia volitiva legata agli esseri umani, che li mette in grado di essere partecipi di eventi che non avrebbero dovuto accadere ma che di fatto in un modo o nell’altro accadono. La chiamò la legge della Sincronicità. Una teoria, in pratica, in cui il caso non esiste ma esiste un flusso di energia che dall’uomo torna all’uomo in risposta ad un suo bisogno profondo. In parole povere, il pensiero prevarica completamente tempo e spazio, mettendo in moto eventi acausali in risposta ad un desiderio inconscio.

In un’interessante analisi pubblicata alcune settimane fa (e la cui lettura integrale si consiglia vivamente), Roberto Grimaldi afferma che ““Luogo” è qualcosa che evoca i rituali della memoria e delle emozioni, è la risonanza emotiva che s’innesca quando l’ambiente è regolato dalla misura e dal “katà métron”, (con questa espressione il pensiero filosofico greco delle origini si riferiva all’atteggiamento di chi sa avere cura di sé; di chi sa governare se stesso avendo consapevolezza di sé, delle proprie possibilità e dei propri limiti.) Ma se si è al margine, si è abitati dal malessere, è l’atopia dell’esclusione: questo è la periferia. Ma allora perché più della metà della popolazione mondiale vive in città – e il fenomeno è in crescita esponenziale – se la destinazione più probabile e meno attraente è la fascia suburbana?

Quando si parla di periferia urbana, e dei relativi problemi connessi, il primo pensiero non può che andare a Roma, la più estesa realtà cittadina italiana, con i suoi 1.290 chilometri quadrati e i suoi 2,9 milioni di abitanti. Basti pensare che il 23 per cento della popolazione del comune di Roma vive oggi al di fuori del Grande Raccordo Anulare e in queste aree l’incremento degli abitanti negli ultimi dieci anni è stato del 26 per cento, a fronte del fatto che dentro il Gra (Grande raccordo anulare) la popolazione invece diminuisce. Pier Paolo Pasolini, racconta Isabella Amicuzi, nonostante non fosse nato a Roma, riuscì a descriverla in maniera minuziosa nelle sue opere. Le borgate, la loro lingua e la loro vitalità sono da subito fonte d’ispirazione per la sua produzione letteraria. La periferia romana diventa per il poeta la vera protagonista di un viaggio di ricerca e scoperta che lo accompagnerà fino al giorno della sua tragica scomparsa. È proprio nel quartiere di Monteverde che comincia a scrivere Ragazzi di vita. Romanzo pubblicato nel 1955 e che farà diventare Pasolini lo scrittore centrale del panorama culturale italiano.

Per quanto riguarda il cinema, arte che personalmente amo moltissimo, ho scoperto recentemente l’importanza del film Roma città aperta che ho visto una vita fa e che, me lo riprometto da un po’ di tempo, devo proprio riguardare. Otto Preminger, che è stato regista, produttore cinematografico e attore austriaco naturalizzato statunitense, una volta disse che «la storia del cinema si divide in due ere: una prima e una dopo Roma città aperta». Girato in segreto durante l’occupazione nazista in Italia, in Roma città aperta Roberto Rossellini racconta realisticamente la resistenza clandestina e l’Italia diventa così la patria del nuovo cinema. Basta storie inventate, rassicuranti e a lieto fine. Tutto il mondo si ispira, quindi, alle pellicole dei registi nostrani. Insomma, il neorealismo diventa un genere che tutti i più grandi volevano imitare.

Ed ecco che ritorno alle coincidenze. In queste giornate uggiose d’inizio inverno, quando l’umidità esterna certamente non invoglia ad uscire, a meno che non si sia costretti a farlo per qualche incombenza necessaria, mi è capitato di vedere, in successione, due film, ambedue ambientati ad Ostia, ovvero nella periferia romana, ed ambedue di denuncia sociale. Il primo è A mano disarmata (2019, Regia: Claudio Bonivento) e racconta la storia “vera” di una giornalista di Repubblica, Federica Angeli, la quale durante un lavoro d'inchiesta sul litorale romano di Ostia, si ritrova faccia a faccia con un pericoloso boss mafioso che la minaccia di morte se non rinuncerà a pubblicare l'articolo. Pochi giorni dopo l'accaduto, Federica sarà inoltre testimone oculare di una sparatoria tra clan in lotta per il dominio della zona. Nonostante sia spaventata dalle ripercussioni sulla sua famiglia e nonostante il tentativo di tutti di farla desistere, lei denuncerà i fatti. Da quel momento, costretta a vivere sotto scorta, la sua vita e quella dei suoi cari cambierà per sempre. Il secondo Non essere cattivo(2015, regia di Claudio Caligari) è ambientato sempre ad Ostia e racconta la storia di due amici. Un excursus, racconta Paola Casella su Mymovies, nei luoghi oscuri non solo dell'hinterland romano, ma dell'animo umano e della società contemporanea, raccontato attraverso due figure di confine, l'una encomiabile per la sua volontà di tirarsi fuori dalle sabbie mobili della propria condizione, l'altra patetica per l'incapacità strutturale di farlo. Perché “In certi luoghi e certe circostanze non essere cattivo, per citare il titolo, non è una scelta, perché per sopravvivere alla violenza e alla prevaricazione che ti circonda devi tirare fuori la tua natura peggiore, e possibilmente un "ferro".

Due storie, due visioni della vita in questi due film, che consiglio a tutti di guardare (ambedue sono disponibili su Raiplay). Due film italiani che rappresentano le due facce della medaglia di ciò che siamo e di ciò che vogliamo o possiamo essere. Il senso civico della giornalista che vede la propria vita rivoluzionata è coerente con ciò che anche professionalmente ha scelto di essere. Dall’altro lato il degrado di una società che non dà, se non raramente, possibilità di riscatto. Roma, quindi, sempre Roma. Ma non è solo la Caput mundi meta sognata da ogni turista. Non è solo la città rappresentata, in sintesi, da via Veneto e la dolce vita. E' una città complessa che, fortunatamente, il cinema non ha smesso di raccontare e che, per quanto mi riguarda, non ho smesso di seguire.

La casa che ti sceglie

Ogni anno, a novembre, acquisto Gardenia perché, allegata alla rivista, c’è un’agenda. Nonostante mi consideri abbastanza informatizzata, e ...