Lavorai con passione, tanta, inconsapevole che l’esperienza e la conoscenza viaggiano a pari passi con l’avanzare dell’età. Oggi, in sostanza, guardando a quel periodo ritengo di essere stata un’incosciente ad aver assunto un incarico così impegnativo ed anche di aver privato la mia famiglia del tempo che avrei dovuto dedicare a loro, invece di cercare di contrastare gli avversari politici, ridicolmente più interni all’area politica che mi aveva espresso, rispetto agli altri della compagine di maggioranza. Anche se mi rincuora molto veder realizzato ciò che avevo utopisticamente immaginato. Oggi sono certamente meno pasionaria ma certamente altrettanto combattiva. Sopratutto nel cercare di far valere le ragioni del diritto nelle situazioni che la vita molto spesso chiede di affrontare.
Una questione che sto seguendo, in queste ultime settimane, è quella relativa all’obbligo del green pass per accedere a determinate attività. Professionalmente, mi è stato richiesto di occuparmene e venerdì 6 agosto è uscito sul quotidiano nazionale ItaliaOggi questo mio articolo dal titolo: “Da oggi lasciapassare per ristoranti, sagre, piscine, musei.”
“Da oggi obbligo del green pass per l'accesso a diversi servizi e attività. L’ha deciso il Governo con il decreto legge 105 del 23 luglio scorso (art. 3) che, di fatto, è andato ad integrare la normativa che ha formalmente istituito la Certificazione verde COVID-19, ovvero il decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52. Una novità questa che è stata fin da subito motivo di perplessità, da parte degli operatori economici e le associazioni rappresentative degli stessi, per i dubbi interpretativi conseguenti alla formulazione della disposizione che ha introdotto l’obbligo del cosiddetto Green Pass. In pratica, da oggi 6 agosto libera circolazione o meglio libertà di accesso a ristoranti, piscine, musei, sagre e convegni, tanto per citarne alcuni, soltanto a chi esibisce la certificazione verde COVID-19 e questo a prescindere dalla situazione di ogni singola regione ed ovviamente laddove i servizi e le attività siano consentiti.
La certificazione. Si tratta, in sostanza, di una Certificazione in formato digitale e stampabile, emessa dalla piattaforma nazionale del Ministero della Salute, che contiene un QR Code per verificarne autenticità e validità. In base, pertanto, a quanto contenuto nel decreto legge istitutivo, i titolari o gestori dei servizi e delle attività con obbligo di Green Pass sono tenuti ad effettuare le verifiche delle certificazioni utilizzando l’apposita applicazione ufficiale e gratuita VerificaC19 che può essere scaricata utilizzando i consueti mezzi di download (Play Store di Google per le versioni Android e Apple Store per quelle Ios tanto per intenderci). L’applicazione può essere installata su qualsiasi dispositivo mobile, quale cellulare o tablet e funziona anche senza connessione ad Internet e quindi offline. L’applicazione consente di verificare l’autenticità e la validità delle certificazioni senza memorizzare informazioni personali sul dispositivo del verificatore.
La verifica. Il Green Pass è richiesto dal verificatore all’interessato che mostra il relativo QR Code (in formato digitale oppure cartaceo). A questo punto l’app VerificaC19 legge il QR Code, ne estrae le informazioni e procede con il controllo del sigillo elettronico qualificato. In pratica, l’applicazione mostra graficamente al verificatore l’effettiva validità della Certificazione nonché il nome, il cognome e la data di nascita dell’intestatario della stessa. E’ a questo punto che, secondo le indicazioni del Governo contestate tuttavia dalle associazioni di categoria, l’interessato, su richiesta del verificatore, è tenuto ad esibire un proprio documento di identità in corso di validità ai fini della verifica di corrispondenza dei dati anagrafici presenti nel documento con quelli visualizzati dall’App.
La posizione delle associazioni. Secondo Confesercenti, pur comprendendo le motivazioni che hanno portato all’obbligo del Green Pass soprattutto in una logica preventiva per scongiurare le chiusure, è stata ribadita la contrarietà a imporre ai pubblici esercizi il ruolo di controllore in sostituzione dello Stato. Posizione analoga quella del Sindacato Totoricevitori Sportivi. “L’operazione di vigilanza e controllo all’interno delle nostre tabaccherie e corner sportivi è realmente troppo complicata e fa nascere una serie di nuovi problemi, in un momento in cui sarebbe necessario tornare alla normalità, hanno affermato. Auspicando, peraltro, che il Governo valuti attentamente l’utilizzo dello strumento appena introdotto, affinché esso porti realmente maggiore libertà di movimento e non si trasformi, invece, in una barriera all’ingresso”. Per la Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, “i gestori di bar e ristoranti faranno quanto possibile per favorire il controllo del green pass di chi vorrà accedere agli spazi al chiuso, ma serve la possibilità di utilizzare l’autocertificazione per responsabilizzare i clienti. Noi faremo ancora una volta la nostra parte con grande senso di responsabilità e spirito di sacrificio, nonostante la consapevolezza che la norma rischia di impedire l’accesso ai locali di una fetta consistente di popolazione, in particolare giovani e giovanissimi, che è ancora in attesa di ricevere la prima dose di vaccino. Non per una scelta individuale, sia chiaro, ma per i tempi tecnici di una campagna vaccinale che ancora non si è conclusa.”
Un piccolo box in fondo pagina, ristretto per esigenze tipografiche, dal titolo inequivocabile: “Uno scontro tra due norme sul caffè e cornetto al bar”, faceva sintesi di quanto avevo proposto alla redazione:
“Nessun obbligo di Green Pass per cornetto e cappuccino al bar, neanche se seduti al tavolo. Ciò in quanto l’obbligo di esibire la certificazione COVID-19 è limitata al servizio di ristorazione. E nessun vincolo nemmeno per il trattenimento dal tabaccaio. Perché il Governo ha deciso l’accesso vincolato soltanto alle sale giochi. Insomma, la legge è legge ed il decreto varato dal Governo il 23 luglio scorso va letto in sintonia con quanto il legislatore ha stabilito dieci anni fa. Infatti, l’art. 1, comma 2 del decreto legge 1/2012, (legge conv. 27/2012) afferma che: “Le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all'accesso ed all'esercizio delle attivita' economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalita' di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l'iniziativa economica privata e' libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunita' tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all'ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana e possibili contrasti con l'utilita' sociale, con l'ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica.”
Che quanto avevo scritto (seppur sintetizzato) sia scivolato via è assolutamente palese. Come ben lo dimostrano i titoli di giornali e TV che continuano a parlare di obbligo di green pass per bar e ristoranti. E allora, mettiamo i puntini sulle “i”! Il green pass è obbligatorio per ristoranti, pizzerie ma non per bar e pasticcerie. Lo dispone, inequivocabilmente, il decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105 laddove, all’articolo 3, prevede che: “A far data dal 6 agosto 2021, e' consentito in zona bianca esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi COVID-19, di cui all'articolo 9, comma 2, l'accesso ai seguenti servizi e attivita': a) servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio, di cui all'articolo 4, per il consumo al tavolo, al chiuso. […]”
Se qualcuno si fosse chiesto quali siano i servizi di ristorazione avrebbe trovato la risposta nell’art. 5 della legge 287/1991 che individua le tipologie degli esercizi pubblici distinguendoli in: a) esercizi di ristorazione, per la somministrazione di pasti e di bevande, comprese quelle aventi un contenuto alcoolico superiore al 21 per cento del volume, e di latte (ristoranti, trattorie, tavole calde, pizzerie, birrerie ed esercizi similari);
b) esercizi per la somministrazione di bevande, comprese quelle alcooliche di qualsiasi gradazione, nonche' di latte, di dolciumi, compresi i generi di pasticceria e gelateria, e di prodotti di gastronomia (bar, caffe', gelaterie, pasticcerie ed esercizi similari.
E allora è lecito prendere atto che non sempre le notizie che vengono fornite da giornali e tv (per non parlare della rete) sono esatte….. Purtroppo, i tempi stretti non sempre consentono il necessario approfondimento. Ma credo che quando si tratta di limitare le libertà personali o imprenditoriali, Governo e Parlamento dovrebbero fare chiarezza. Perché in diritto vanno evitati i termini vaghi. E’ la prima regola che, all’Università, mi avevano insegnato nel corso di teoria e tecnica della normazione. Un corso al quale dovrebbero essere obbligatoriamente chiamati a frequentare tutti coloro i quali scrivono leggi o regolamenti.
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