giovedì 15 novembre 2018

Consumi e consumismo


Black friday? No grazie! acquisto solo ciò di cui ho bisogno

Venerdì della prossima settimana, ovvero il 23 novembre, si rinnoverà il rito del Black Friday. Nato negli Stati Uniti è il giorno successivo al giorno del ringraziamento e tradizionalmente dà inizio alla stagione degli acquisti natalizi. Per alcuni l'espressione Black Friday è nata a Filadelfia e deriverebbe dal pesante e congestionato traffico stradale che si sviluppa per l'occasione in quel giorno. Anche se l'origine esatta rimane comunque incerta: secondo altri farebbe riferimento alle annotazioni sui libri contabili dei commercianti che tradizionalmente passavano dal colore rosso (perdite) al colore nero (guadagni), per cui il Black Friday indicherebbe un giorno di grandi guadagni per le attività commerciali. Dal venerdì nero, infatti, si dovrebbe far decorrere il periodo dell'anno più proficuo per il commercio. Un periodo capace di portare in nero, quindi in attivo, i conti delle imprese. Il Black Friday è solitamente seguito dal Cyber Monday, il primo lunedì successivo, caratterizzato da grandi sconti relativi a prodotti di elettronica: in sostanza rappresenta la risposta del commercio elettronico al venerdì nero ed è caratterizzato da una massiccia offerta di ribassi esclusivamente in internet. Ma Amazon, ad esempio, ha deciso di iniziare le sue promozioni con una settimana di anticipo; tanto per dimostrare al mondo che la parte del leone la fa sempre e comunque lui.
Aprendo il mio fedele notebook stamattina, per leggere le notizie e guardare online gli ultimi notiziari, mi sono resa conto non soltanto che il tempo vola; ma come in questi ultimi dieci anni il mondo del commercio sia stato totalmente rivoluzionato, al di là di ogni aspettativa. Mentre la pubblicità online, infatti, invadeva le pagine web annunciando le offerte di venerdì prossimo, mi dedicavo contemporaneamente a mantenere vivo il fuoco del caminetto appena acceso, al fine di smorzare il fresco mattutino. Pagine di vecchi giornali conservate perché contenenti articoli interessanti, pubblicazioni attinenti ad argomenti che non mi interessano più, sono ancora materia prima utilissima. Anche se il sistema migliore sarebbe quello utilizzato nella mia infanzia con la carta messa a mollo e la realizzazione di palle da mettere quindi ad asciugare. Amazon, ad esempio, propone oggi il compattatore. Un modo razionale e virtuoso per utilizzare rifiuti, in linea con la cosiddetta economia circolare.
Sta di fatto che tra le pagine conservate ho trovato due articoli degni di nota. Il primo datato sabato 11 marzo 2006 intitolava “la guerra del supermarket”, sottotitolo: In un’isoletta inglese un prete guida la rivolta contro le grandi catene. Non sono riuscita a trovarlo on-line e, quindi, non ne posso condividere il testo. Ma si concludeva con una affermazione profetica del parroco che aveva dichiarato guerra ai cosiddetti Big Four, ovvero le grandi catene: “All’inizio, quando apre il supermercato di una grande catena c’è eccitazione, la gente pens che potrà scegliere fra un maggior numero di prodotti e a prezzi convenienti. Ma nel lungo termine la vita della comunità viene stravolta, i piccoli esercenti falliscono ed il tessuto sociale non è più lo stesso”.
Ma esattamente dieci anni fa, dalle pagine del quotidiano economico ilsole 24 ore, il sociologo Sabino Acquaviva ammoniva: “ll centro commerciale? È la cattedrale simbolica di questa società, il simbolo di una  maniera differente, forse nuova, di educare i giovani, gli adulti e persino gli anziani, di renderli capaci di vivere in un mondo così diverso. Ma, purtroppo, educa nel senso  che aiuta milioni di individui a diventare dei consumatori adulti; precisi, adatti a un  sistema economico in cui è indispensabile produrre, retribuire chi produce, affinché  consumi e quindi produca. Un ciclo continuo che non può e non deve mai fermarsi. Conseguenze? Moltissime. Anzitutto, dove nasce un centro commerciale viene  devastato ed eliminato il tessuto di piccoli negozi che erano l'anima di mille rapporti sociali, ma anche di acquisto e vendita di  beni piccoli e grandi. Inoltre, in questo  spazio l'essere umano diventa anche un efficiente consumatore, per il quale tutto il  resto va sullo sfondo, diventa più o meno incolore o scompare.” Vale la pena leggere integralmente l’analisi che il sociologo aveva allora svolto. Non so se è troppo tardi per ritornare indietro. Ma questa società basata sull’usa e getta, sulla globalizzazione dei consumi mi piace poco. Anche se, indirettamente, mi sento responsabile di questo scempio, perché non ho fatto nulla perché ciò non avvenisse. Nessun potere decisionale ovviamente, ma soltanto opera di sensibilizzazione nei confronti, scritta o verbale, nei confronti di quei sindaci per i quali l'apertura di un centro commerciale comporta l'incasso di migliaia di euri di oneri di urbanizzazione prima, e di ICI o IMU, poi. Perchè non pensare ad una inversione di rotta premiando i comuni virtuosi che salvaguardano il proprio territorio? Ecco. E' questo il mio nuovo sogno nel cassetto che vorrei tanto venisse condiviso.

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