domenica 26 maggio 2019

In ricordo di Vittorio Zucconi


Ci sono autori, giornalisti e filosofi, che mi hanno accompagnata nella crescita culturale, sociale e morale, attraverso la lettura dei loro scritti pubblicati su quotidiani e periodici. Luca Goldoni, che lo scorso anno ha compiuto 90 anni; Umberto Eco il quale, a prescindere da saggi e narrativa, deliziava i suoi lettori attraverso la rubrica settimanale dell’Espresso “La bustina di Minerva” e Vittorio Zucconi, ospite per tanti anni sul magazine “D la repubblica delle donne”, con una pagina che ogni volta andavo a leggere prima di tutto il resto. Da acuto osservatore dell’America e della società in genere che si trasforma, Vittorio Zucconi, è stato per me la sintesi di ciò che sentivo e che avrei voluto raccontare, certamente incapace di farlo bene come lui. Ma è stato anche, con alcuni scritti, la pietra miliare di ciò che ho amato sopra tutto e che conservo in una cartelletta: vignette, messaggi personali particolarmente significativi ed articoli. “L' ultimo bip bip del mio pulcino” di Vittorio Zucconi, pubblicato da Repubblica il 27 maggio del 1997 è uno di questi.
L’ho trovato on-line e lo segnalo perché a mio avviso è il modo migliore per onorare la memoria di un Grande.  Per i più giovani, quelli nati nel terzo millennio che il Tamagotchi non l’hanno conosciuto, chiarisco che si trattava di un gioco elettronico portatile creato nel 1996 da due giapponesi e prodotto dalla Namco Bandai. L'obiettivo era quello di prendersi cura sin dalla nascita di una specie aliena chiamata Tamagotchi e dargli il necessario per farlo crescere ed essere suo amico; inoltre bisognava farlo vivere il più a lungo possibile e curarlo in caso di malattia. Questo quanto all'epoca dei fatti aveva scritto il giornalista:

“IL MIO Tamagotchi è morto. L' ho ucciso io, il boia del pulcino virtuale. Il camion della spazzatura è passato da casa venerdì pomeriggio e in un fetido ruttino finale di scarico diesel, tra risatacce di monatti travestiti da operatori ecologici aggrappati al cassone, l' ho guardato dalla finestra mentre si portava via per sempre il mio pulcino. Lo avevo gettato via venerdì mattina, non senza qualche esitazione ecologica: in quale contenitore va buttato un pulcino virtuale? In quello dove stanno le ossa di pollo? Nel cassoncino delle batterie esauste tra i suoi parenti, gli Swatch sfiancati e i Walkman sbudellati? O avrei dovuto, invece, per rispetto della metafora animalista come vorrebbe la Lega antivivisezione che è scesa in campo per difendere l' ovetto, seppellirlo in uno dei tanti cimiterini per animali, tra le sculture del fedele Melampo con le orecchie dritte e il bassorilievo di Fifì la compianta gattina? Qui giace Tamagotchi, o tu che passi, non fiori ma batterie giapponesi per lui. In realtà sto mentendo, non l' ho buttato io nella spazzatura (sezione oggetti di plastica). Da vile, come già feci quando dovetti mettere a dormire per sempre il mio vecchio Vox, adorato ma ormai zoppo pastore tedesco (vero), ho affidato l' esecuzione a mia moglie. Le donne sono sempre più forti di noi uomini, in materia di dolore. Aveva fatto bip bip per tutta la notte fra giovedì e venerdì, riempiendo la casa dei suoi pigolii agonici, apparentemente flebili, ma capaci di penetrare i muri e il buio come soltanto le gocce dei lavandini spanati e i sussulti della coscienza sporca sanno fare. Al mattino pigolava ancora, dal fondo di un cassetto dove avevo tentato di dimenticarlo. Sono sicuro, perche conosco i giapponesi e il loro controllo di qualità industriale, che stia bippando ancora, nella notte orrenda della discarica dove è finito. Siamo stati pessimi padre e madre (gallo e gallina?) per Tamagotchi. Dopo decenni di vagiti, latrati, miagolii di figli, cani e gatti allevati in casa, ci sono mancati l' istinto, lo spirito di sacrificio, la sensibilità animalista per crescere anche un piccolo orologio con la faccia da pulcino che si caca addosso. Non abbiamo avuto la finezza di capire che anziché uno stupido, infernale videogiochino tascabile prodotto dalla Bandai, una multinazionale specializzata nello spaccio di gadgets che creano dipendenza in chi li usa, Tamagotchi era un test spirituale, un termometro infilatoci in casa per misurare la nostra sensibilità verso gli animali. Potrò ora guardare mai più negli occhi Max, il mio nuovo cane, senza sentire un guizzo di rimorso e senza la paura che lui sfoderi i suoi canini (reali) e vendichi Tamagotchi? Potrò mai più indignarmi per i disgraziati che abbandonano i cani sulla via delle vacanze, per i criminali che sparano ai pochi lupi superstiti, per i boia che nei penitenziari del Texas premono lo stantuffo dell' iniezione fatale, ora che ho ucciso l' orologino? Secondo la Lega antivivisezione italiana no. Spegnendo Tamagotchi ho perduto l' occasione per imparare a rispettare gli animali, per capire la differenza fra un giocattolo e una bestia. Perdonami, Tamagotchi, se puoi. Ma ho paura che la sentenza sia ormai scritta, e la dannazione decisa. Trascorrerò l' eternità all' inferno, insieme con il consiglio d' amministrazione della Bandai, con gli animalisti, con milioni di acquirenti che tutti, presto o tardi, butteranno con un grido di sollievo e di disgusto il pulcino elettronico nell' immondizia, condannati a premere giorno e notte pulsantini, a cambiare batterie, a giocare con un ovetto, a pulire la cacchina di un pulcino che non esiste, nei secoli dei secoli e bip bip. Sotto lo sguardo divertito e perplesso degli animali veri che, dal loro meritato paradiso, scuoteranno il muso tra loro, sorridendo: te l' avevo pur detto, Fifì, che gli esseri umani sono scemi. “
Vittorio Zucconi ci mancherai. Anzi, già ci manchi.
 

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