Ci sono autori, giornalisti e filosofi, che mi hanno
accompagnata nella crescita culturale, sociale e morale, attraverso la lettura dei
loro scritti pubblicati su quotidiani e periodici. Luca Goldoni, che lo scorso
anno ha compiuto 90 anni; Umberto Eco il quale, a prescindere da saggi e
narrativa, deliziava i suoi lettori attraverso la rubrica settimanale dell’Espresso
“La bustina di Minerva” e Vittorio Zucconi, ospite per tanti anni sul magazine “D
la repubblica delle donne”, con una pagina che ogni volta andavo a leggere
prima di tutto il resto. Da acuto osservatore dell’America e della società in
genere che si trasforma, Vittorio Zucconi, è stato per me la sintesi di ciò che
sentivo e che avrei voluto raccontare, certamente incapace di farlo bene come
lui. Ma è stato anche, con alcuni scritti, la pietra miliare di ciò che ho
amato sopra tutto e che conservo in una cartelletta: vignette, messaggi
personali particolarmente significativi ed articoli. “L' ultimo bip bip del mio
pulcino” di Vittorio Zucconi, pubblicato da Repubblica il 27 maggio del 1997 è
uno di questi.
L’ho trovato on-line e lo segnalo perché a mio avviso è il modo migliore per onorare la memoria di un Grande. Per i più giovani, quelli nati nel terzo
millennio che il Tamagotchi non l’hanno conosciuto, chiarisco che si trattava di un
gioco elettronico portatile creato nel 1996 da due giapponesi e prodotto dalla
Namco Bandai. L'obiettivo era quello di prendersi cura sin dalla nascita di una
specie aliena chiamata Tamagotchi e dargli il necessario per farlo crescere ed
essere suo amico; inoltre bisognava farlo vivere il più a lungo possibile e
curarlo in caso di malattia. Questo quanto all'epoca dei fatti aveva scritto il giornalista:
“IL MIO Tamagotchi è morto. L' ho ucciso io, il boia del
pulcino virtuale. Il camion della spazzatura è passato da casa venerdì
pomeriggio e in un fetido ruttino finale di scarico diesel, tra risatacce di
monatti travestiti da operatori ecologici aggrappati al cassone, l' ho guardato
dalla finestra mentre si portava via per sempre il mio pulcino. Lo avevo
gettato via venerdì mattina, non senza qualche esitazione ecologica: in quale
contenitore va buttato un pulcino virtuale? In quello dove stanno le ossa di pollo?
Nel cassoncino delle batterie esauste tra i suoi parenti, gli Swatch sfiancati
e i Walkman sbudellati? O avrei dovuto, invece, per rispetto della metafora
animalista come vorrebbe la Lega antivivisezione che è scesa in campo per
difendere l' ovetto, seppellirlo in uno dei tanti cimiterini per animali, tra
le sculture del fedele Melampo con le orecchie dritte e il bassorilievo di Fifì
la compianta gattina? Qui giace Tamagotchi, o tu che passi, non fiori ma
batterie giapponesi per lui. In realtà sto mentendo, non l' ho buttato io nella
spazzatura (sezione oggetti di plastica). Da vile, come già feci quando dovetti
mettere a dormire per sempre il mio vecchio Vox, adorato ma ormai zoppo pastore
tedesco (vero), ho affidato l' esecuzione a mia moglie. Le donne sono sempre
più forti di noi uomini, in materia di dolore. Aveva fatto bip bip per tutta la
notte fra giovedì e venerdì, riempiendo la casa dei suoi pigolii agonici,
apparentemente flebili, ma capaci di penetrare i muri e il buio come soltanto
le gocce dei lavandini spanati e i sussulti della coscienza sporca sanno fare.
Al mattino pigolava ancora, dal fondo di un cassetto dove avevo tentato di
dimenticarlo. Sono sicuro, perche conosco i giapponesi e il loro controllo di
qualità industriale, che stia bippando ancora, nella notte orrenda della
discarica dove è finito. Siamo stati pessimi padre e madre (gallo e gallina?)
per Tamagotchi. Dopo decenni di vagiti, latrati, miagolii di figli, cani e
gatti allevati in casa, ci sono mancati l' istinto, lo spirito di sacrificio,
la sensibilità animalista per crescere anche un piccolo orologio con la faccia
da pulcino che si caca addosso. Non abbiamo avuto la finezza di capire che anziché
uno stupido, infernale videogiochino tascabile prodotto dalla Bandai, una multinazionale
specializzata nello spaccio di gadgets che creano dipendenza in chi li usa,
Tamagotchi era un test spirituale, un termometro infilatoci in casa per
misurare la nostra sensibilità verso gli animali. Potrò ora guardare mai più
negli occhi Max, il mio nuovo cane, senza sentire un guizzo di rimorso e senza
la paura che lui sfoderi i suoi canini (reali) e vendichi Tamagotchi? Potrò mai
più indignarmi per i disgraziati che abbandonano i cani sulla via delle
vacanze, per i criminali che sparano ai pochi lupi superstiti, per i boia che
nei penitenziari del Texas premono lo stantuffo dell' iniezione fatale, ora che
ho ucciso l' orologino? Secondo la Lega antivivisezione italiana no. Spegnendo
Tamagotchi ho perduto l' occasione per imparare a rispettare gli animali, per
capire la differenza fra un giocattolo e una bestia. Perdonami, Tamagotchi, se
puoi. Ma ho paura che la sentenza sia ormai scritta, e la dannazione decisa. Trascorrerò
l' eternità all' inferno, insieme con il consiglio d' amministrazione della
Bandai, con gli animalisti, con milioni di acquirenti che tutti, presto o
tardi, butteranno con un grido di sollievo e di disgusto il pulcino elettronico
nell' immondizia, condannati a premere giorno e notte pulsantini, a cambiare
batterie, a giocare con un ovetto, a pulire la cacchina di un pulcino che non
esiste, nei secoli dei secoli e bip bip. Sotto lo sguardo divertito e perplesso
degli animali veri che, dal loro meritato paradiso, scuoteranno il muso tra
loro, sorridendo: te l' avevo pur detto, Fifì, che gli esseri umani sono scemi.
“
Vittorio Zucconi ci mancherai. Anzi, già ci manchi.
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