mercoledì 15 luglio 2020

Ricordando Ennio Morricone e, perchè no, .... Sacco e Vanzetti

Circa due anni, in previsione di un incontro pubblico con il fotografo Rocco Ceselin, (gradiscano che adesso vive a Los Angeles) ho provato a scrivere qualcosa sugli USA. Non facile. Ma credo, come ho già raccontato in altro Blog, che nessuno, più di Guido Chiesa, sia riuscito a riassumere in un solo paragrafo le motivazioni del mito americano. Ma che cos`è poi questo mito americano che ha contagiato anche me, anni fa, tanto da giungere al punto di andare a New York, anche più di una volta all’anno? Me lo chiedo e richiedo tutte le volte che un amico o un parente mi informa del suo prossimo viaggio al di là dell’Oceano.
Ebbene, la risposta è complessa, ed io direi anche complessivamente antitetica. Insomma difficile da spiegare e, sotto un certo punto di vista, anche giustificare. Per lo scrittore e regista Chiesa, il Mito rappresentato dagli Stati Uniti è uno strano miscuglio di imperialismo e pulsioni anarchiche, scenari naturali e giungle urbane, Coca Cola e romanticismo noir, vecchie leggende e iperboli tecnologiche. E' un Mito, direbbe Pannella, transnazionale e transgenerazionale. Esso si è modificato col tempo, mantenendo però un'inalterata presa su gruppi di persone distanti sia geograficamente che epocalmente, provenienti da culture diverse e portatrici di ideologie spesso contrapposte. Basti pensare al controverso amore per l'America che ha permeato gran parte della Sinistra europea. Come spiegava il regista Jean Luc Godard, odiamo John Wayne perché in lui vediamo gli odiati reazionari americani, ma lo amiamo perdutamente quando indossa i panni del cowboy dei film di John Ford. Ed oggi potremmo dire lo stesso di Clint Eastwood. Oppure, in campo musicale, detestiamo la "commercializzazione" imposta dalle grandi multinazionali del disco, ma poi ascoltiamo, sempre con un po’ di emozione la voce calda di John Denver in Country roads o di Dolly Parton in Jolene. Insomma, mistero e fascinazione del Mito Americano: credo sia proprio questo ossimoro a determinarne il culto. E chi fra cent'anni studierà la nostra epoca, è il presagio di Chiesa, passerà la maggior parte del tempo a chiedersi come la cultura di un paese, nato poco più di quattro secoli fa, abbia potuto imporsi su quella di nazioni dalle tradizioni millenarie.
L’America ha accolto Nikola Tesla, salvo lasciarlo morire in povertà quando la sua visione utopica del mondo aveva perso qualsiasi interesse economico, ma ha condannato ed imprigionato Wilhelm Reich per le sue teorie non convenzionali. Insomma, chi non si omologa o si ribella viene ignorato o reso inoffensivo. La storia più recente, raccontata da Michael Francis Moore e da Edward Snowden tanto per fare degli esempi, in Fahrenheit 11/9 (uscito nelle sale il 22 ottobre) e in Snowden di Oliver Stone dovrebbero pur insegnarci qualcosa! Ma non è così. E allora, continuiamo pure a coltivare il sogno americano, come ha fatto del resto Emir Kusturica nell’indimenticabile Arizona dream. Perchè l'America è proprio complicata e va quindi esorcizzata attraverso invenzioni, parabole fantastiche e grottesche. In attesa, aggiungo io, di una auspicata presa di coscienza collettiva.
Oggi ho voluto riparlare di America per rendere omaggio al grande Ennio Morricone, che è venuto a mancare nei giorni scorsi e le cui colonne sonore hanno contribuito a rendere capolavori indimenticabili film come "C’era una volta in America". Il film del 1984 di Sergio Leone, collaboratore e amico di vecchia data di Morricone, è stato l’ultimo capitolo della “trilogia del tempo”, composta da "C’era una volta il West" (1968) e "Giù la testa" (1971). E come fare a dimenticare la musica di "Per un pugno di dollari" che è stato, invece, il primo film della così detta "trilogia del dollaro" seguito, poi, da "Per qualche dollaro in più" e da"Il buono, il brutto e il cattivo"? Forse sono in pochi, invece, a sapere, che è stata scritta dallo stesso Morricone, nel lontano 1971 e quindi 50 anni fa, la musica del film dedicato ai due anarchici italiani Sacco e Vanzetti, ingiustamente processati negli USA nel 1921. Si trattò di uno dei più clamorosi errori giudiziari, si fa per dire, della storia americana. Sulla loro colpevolezza vi furono molti dubbi già all'epoca del loro processo; ma a nulla valse la confessione del detenuto portoghese Celestino Madeiros, che li scagionava. I due furono giustiziati sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927 nel penitenziario di Charlestown, presso Dedham. A cinquant'anni esatti dalla loro morte, il 23 agosto 1977 Michael Dukakis, governatore dello Stato del Massachusetts, riconobbe ufficialmente gli errori commessi nel processo e riabilitò completamente la loro memoria, nel corso di una cerimonia in cui venne invitato anche il regista Giuliano Montaldo, tenuto conto che il film aveva contribuito non poco a riportare in primo piano la vicenda. Memorabile fu l'interpretazione di Gianmaria Volontè nel ruolo di Bartolomeo Vanzetti, anche se a portare a casa un premio fu il co-protagonista Riccardo Cucciolla che, al Festival di Cannes del 1971, gli venne riconosciuta la migliore interpretazione maschile. Ma se in pochi sanno dell'apporto di Ennio Morricone in questo film, tantissimi, invece, conoscono certamente la canzone “Here’s to You”, interpretata da Joan Baez, tutt'oggi vero e proprio inno per i diritti civili. 

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