Mi entusiasmo raramente alla visione di un film, ma a volte succede. Anche se, ho scoperto, devono
essere in lingua originale. Perché purtroppo i doppiatori raramente riescono ad
immedesimarsi totalmente in un personaggio, come fa l’attore. E devo dire che,
se fossi un regista, non consentirei alla distribuzione il doppiaggio. Ciò in
quanto il film nel suo insieme, e a prescindere dalla bravura dei doppiatori,
viene comunque modificato. Non è un caso, infatti, se lo stesso Woody Allen ha
affermato che “nel momento in cui viene girato il film gli attori aggiungono,
grazie alle loro diverse capacità interpretative, qualcosa in più e più
personale di quanto ci sia scritto nel copione”. Il doppiaggio, quindi, cambia
il film.
L’ultima conferma, in ordine
di tempo, l’ho avuta nei giorni scorsi, ovvero il giorno successivo alla
visione – in lingua originale – del film Lucky diretto da John Carroll Lynch,
attore di valore ed ora anche regista di pari livello perché la sua prima
regia, per me, è da Oscar. Così come lo meriterebbe, ahimè, il protagonista
deceduto, superati i 91 anni, proprio alla fine delle riprese. Una uscita di
scena, visto il soggetto del film, da grande attore, come peraltro ha
dimostrato di esserlo nei 66 film che Harry Dean Stanton ha interpretato nell’arco della sua attività
professionale.
Per rendersi conto di come,
con il doppiaggio, cambia il personaggio nel suo insieme sono sufficienti 4 minuti,
perché di Lucky basta anche soltanto il trailer per rendersene conto: sia nella versione originale che in quella doppiata. Insomma, in epoca di
globalizzazione dove la conoscenza dell’inglese è praticamente imposta in ogni
dove, persistere nel doppiaggio dei film è, perlomeno a mio avviso, un non senso.
Ma ancora una volta tendo a
tergiversare; perché non era mia intenzione soffermarmi a proposito del doppiaggio
dei film, ovviamente. Nel senso che non ne avrei nemmeno parlato se la
questione non fosse emersa in maniera così dirompente dopo la visione di Lucky.
Film splendido la cui visione consiglio a tutti e che, personalmente, ho così commentato.
Quello di cui desideravo
parlare era di corpo e anima. E mutuo qui, volutamente, un altro titolo di un
film che, sempre secondo il mio personalissimo gusto, considero imperdibile.
Vorrei parlare di corpo,
anima e benessere. Perché, a mio avviso, sono elementi inscindibili. Nel senso
che essendo il corpo la casa dell’anima va curato, così come facciamo per la
casa in cui viviamo; anche se gli anni che volano via possono far apparire certi
esercizi fisici più impegnativi di quanto lo fossero una decina di anni fa,
quando ho iniziato a praticarli. I 5 tibetani. Gli esercizi ai quali Lucky,
novantenne, si dedicava al mattino appena alzato. Nel primo post di questo
blog, avevo riportato una affermazione dell’indiano Deepak Chopra, premio nobel
per la fisica quantistica, medico e scrittore; perché tutti noi, credo, vorremmo
porre un freno all’inevitabile passare degli anni o perlomeno vivere bene ed in
salute il nostro percorso di vita. Ecco, a questo proposito c’è qualcosa di
concreto che possiamo fare per rallentare il processo d’invecchiamento e sentirci
meno anni addosso. Tutto parte, ovviamente, dall’Oriente e gli insegnamenti dei
maestri del Paese degli altopiani, il Tibet, ovvero con il praticare una serie
di esercizi che hanno ripercussioni positive sul nostro benessere psicofisico. Semplici
pratiche che traggono origine in particolare dallo yoga indiano classico
Darshana e da quello tibetano. E, tenuto conto che
un po’ di esercizio fisico fa sempre bene, perché non provare? Cominciando
proprio da oggi, festa di Samhain la quale peraltro coincide, dal punto di
vista dell'ordine cosmico, con il sorgere delle Pleiadi, le stelle dell'inverno
e che segnano la supremazia della notte sul giorno e, per i Celti, l’inizio del
nuovo anno.
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