La cosa che più mi emoziona,
adesso che mi sto ancor di più avvicinando alla soglia dei 70 anni, è pensare
all’incredibile fortuna che ho avuto di aver svolto, per 40 anni, un lavoro che
non soltanto mi piaceva ma mi appassionava. Fortuna che fa il paio con la mia
convinzione che ogni anno che passa è un anno di maggiori conoscenze ed
esperienze. Non mi rattristo, quindi, allo scorrere del tempo, bensì gioisco
per tutto ciò che il tempo libero mi consente di fare. Ed è molto, per non dire
tutta la giornata intera, soprattutto nei mesi in cui il giardino non ha
bisogno di alcuna cura.
Perché, se ho un bel ricordo
della mia vita lavorativa, ancor di più sono straordinari questi anni di disimpegno,
avendo la possibilità di dedicare, finalmente, tutto il mio tempo e non
soltanto quello rimasto libero dal lavoro, alla lettura, al cinema, ai viaggi e
alla cucina e perché no, anche alla scrittura. Interessi che, alla fin fine,
sono interdipendenti come tra poco svelerò a proposito del viaggio a Vienna che
ho fatto nei giorni scorsi, per festeggiare il compleanno.
Quest’anno, in cui ricorre
il centenario della fine della grande guerra, ho iniziato a guardare a Vienna
con occhi diversi. Cosi come mi sembrava peraltro necessario dover fare, tenuto
conto che il territorio in cui sono nata io ed anche i miei genitori, hanno
fatto parte per 500 anni dell’Impero asburgico. In sostanza, qualche motivo pur
ci sarà se, personalmente, mi sono sempre sentita attratta non dal mito di
Sissi, ma da quel senso di ordine, serietà ed impegno che fu Maria Teresa d’Austria
la quale, già nel 1700, introdusse per i suoi sudditi l’obbligo della
istruzione scolastica e fondò quel sistema catastale, da tutti invidiato, e che
l’Italia non è riuscita ancora ad estendere alle altre regioni: il sistema
tavolare.
Potrei parlare per ore di
questo mio tardivo amore per l’Austria, da sempre tuttavia seppur
inconsciamente manifestato attraverso preferenze culinarie, scelte letterarie e
cinematografiche: il mio piatto preferito (seppur soltanto d'inverno) sono i crauti con le salsicce; a quattrodini anni avevo già letto tutte le opere di Joseph Roth; ed uno dei registi più amati è Herzog. E, sotto un certo punto di vista, mi addolora il fatto che al
mio cognome sia stata strappata quella “g” finale che inequivocabilmente manifestava
l’origine della mia famiglia.
Io credo si debba ripartire dall’idea di nazione,
così come l’ha elaborata Federico Chabod, nel senso che Il senso di nazionalità
è l’affermazione della singolarità di ogni paese, realtà unica e irripetibile,
con un proprio territorio, una propria storia e una propria cultura. Insomma,
romanticismo che esalta la genialità e l’unicità del singolo individuo, contro illuminismo
che tende a generalizzare, offrendo una soluzione unica a tutti gli stati. E se
è stato, alla fin fine, Giuseppe Mazzini, ad attivarsi perché l’idea di nazione
come concetto astratto si concretizzi come unità politica e non solo come
entità linguistica, geografica e culturale, io qui, a nove giorni da Natale,
manifesto il mio sofferto senso di appartenenza, perché i vincoli culturali
sono più stabili e duraturi di quelli istituzionali.
Ho sentito una cosa del genere attraversando Schonbrunn mentre ascoltavo la guida che raccontava qualcosa difamiliare. Ma l'Austria di oggi è diversa da quella di allora...
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